(foto da web)
Eccovi di seguito il primo atto della commedia(o presunta tale) il “Santo Tafferuglio”
(sembra quasi una minaccia!!!)
ATTO I SCENA II
(Regione Santa il Generale La Marmora si risveglia defunto)
LA MARMORA:- Che luogo è mai questo? Ufficiali, guardie a me. Dove siete tutti, scansa fatiche? Dov’è il mio reggimento? I cavalli ? I cannoni? Dove sono le mie armi? (toccandosi il fianco) La mia fedele sciabola terrore di tutti i miei nemici? Questo è un sogno? No, un incubo! Svegliati Generale, non poltrire, altri onori, altre battaglie ti aspettano. Perché non mi riesco a svegliare? Che sortilegio è mai questo, quale astuta e perfida maga ha osato tanto, e per ordine di chi? Quale nemico può essere tanto sleale da abdicare la pugna per affidarsi alla perfida magia!? E se questo non fosse un sogno? E se questo luogo così desolato, desertico, privo di vita non fosse invenzione della mia povera mente, che di tanti teatri di sventura e di umane atrocità è stata spettatrice? E se questo luogo non fosse frutto di arcani malefici e questo luogo fosse reale? Io in quale mondo mi troverei? Io sarei… No! No! No! Delirio, (togliendosi il copricapo piumato e toccandosi il capo) devo aver subito una brutta ferita alla testa, ma sotto le piume del mio copricapo non ho nessuna cicatrice, non sento alcun dolore. Questo luogo non può essere reale, e, se davvero fossi… No! No! No! I miei vecchi acciacchi, le mie vecchie cicatrici perché non mi dolgono? (passandosi la mano sul petto) E tu vecchia scheggia, amata nemica che risiedi a pochi centimetri dei miei più reconditi sentimenti, alla sinistra del mio petto; vecchio frammento di nemico suolo che in petto ti porto come il mio cuore stesso, che tanto soffrire e tanto affanno mi dai nelle notti quando la brina diventa spessa e pesante sulle verdi foglie; e quando pur senza nubi oh notte bagni le piume del fiero Bersagliere, perché cessi il tuo martirio? Non è oblio, non è invenzione, dunque cos’è questo luogo, cos’è questa desolazione, cos’è questa desertica regione? Non un uccello volare in questo cielo azzurro, non uno strepitio di insetti in queste folte foreste, né suoni sinistri né animali né umani. Nulla! Nulla! Nulla! Posso davvero io essere defunto e questo luogo può essere quello narrato da poeti, preti e cialtroni? No! No! No! Il Generale La Marmora finito? No! No! No! Deve esserci una giusta sana e logica spiegazione. Tu, Aristotele mio caro filosofo, padre della logica, illuminami, dammi tu la giusta spiegazione. Allora morto, defunto, trapassato. E il mio esercito, l’unità d’Italia cosa né sarà? Il Paradiso, il Purgatorio l’Inferno, quale di questi luoghi sarà a me assegnato, di quali di questi il Creatore crede ch’io sia degno? Ho vissuto bene, male, ho peccato, Ho onorato i santi doveri? E la domanda più importante, il dubbio che più mi attanaglia le viscere, l’anima, sono davvero trapassato? E che fare adesso, quali di questi luoghi cercare, a chi presentarsi? A San Pietro a Catone o a Lucifero? Si ho ucciso miei simili ma tutti uomini malvagi, nemici del popolo, della Patria, codardi affamatori delle genti inermi. Dunque, cosa avrei a pentirmi, perché mai il Paradiso non debba essere la mia eterna dimora, il mio eterno giaciglio? Lucifero, malefico demonio, non sarai tu che dovrai martoriare le mie carni, livido demonio non è tua la mia netta anima, né tua caro Catone che custodisci quel luogo ove né anime beate né anime dannate. Oh custode delle anime purganti, dunque io sarei un’anima da purgare e cosa avrei a nettare, oh Catone dalla lunga barba bianca? Nulla ho da scontare per le mie valorose pugne, nulla ho a purgare. San Pietro sei tu che dovrai accogliermi con i tre squilli di tromba e con gli onori che si addicono ad un valoroso generale. É delirio, è realtà, è un sogno, è maleficio? Sono vivo, sono morto? Cosa importa. So solo che da vivo o da defunto è l’ora di intraprendere la marcia, o contro il nemico ch’esso sia un malvagio essere mortale o che sia misteriosa creatura capace di magici sortilegi. E se reale defunto caro il mio Santo Portinaio, attendi l’arrivo di un valoroso e prode bersagliere. Se non il mio senso di conquistatore, il mio nume o chiunque altro in questo misterioso luogo, indicami il giusto sentiero. Attendi San Pietro, presto il Paradiso avrà un nuovo condottiero.
Atto I scena III
Lamormora e San Pietro alle porte del paradiso.
LA MARMORA:- Che luogo impervio, marciare senza il mio esercito, in questa regione sconosciuta, senza i miei valorosi ufficiali, senza i miei prodi bersaglieri, adesso che la meta è tanto importante quanto agognata per i trapassati, sia prodi che codardi. Ma quanto ancora bisogna marciare? Un altro promontorio, un’altra radura, il mio caro nume ha perso l’orientamento? E pure vicino agli astri, la stella polare, guida di viandanti e navigatori dovrebbe essere fida compagna di viaggio? Cosa sarà mai quel isola verde immersa in cotanta desertica desolazione, e cosa sarà mai quel bianco portone che emana un abbagliante candore come il niveo abito delle vergini all’altare?
( Correndo ed esultando alla volta del santo portone)
…Altro non può essere che ciò ch’io bramo, la soglia del Paradiso, vittorioso ancora generale! Vittoria bersagliere! Avanti Savoia, vittoria! Vittoria! Vittoria!
SAN PIETRO:- Cos’è questo rumore, chi fa tanto baccano, quale anima del cielo è tanto irriverente da disturbare la quiete di questo santo luogo? Un barbaro, un demonio un…
(sorpreso di vedere un militare apprestarsi in quel santo luogo) Militare!? Chi mai siete soldato?
LA MARMORA:- San Pietro, chiedo ammenda ed umilmente perdono se mi lasciai prendere dal fervore come s’io fossi ancora il comandante di valorosi eserciti, ma il tanto marciare per questa santa regione e gli eventi succedutisi in così breve tempo, hanno reso la mia scoperta euforica oltremodo, facendomi esultare come l’ultimo dei soldati, come l’ultimo degli ubriachi in preda ai folli voleri di bacco, nella maniera che non si addice ad un valoroso generale del mio rango. Ma, come il pellegrino che attraversa l’impervio e arrido deserto, fiacco ed assetato, scorge la verde oasi e con avida ingordigia si avventa alla chiara e fresca acqua per rifocillare le proprie membra ormai svigorite da cotanta fatica, al par suo, dopo aver attraversato il plumbeo deserto della terrena vita, in questo luogo euforico vengo a dissetarmi all’eterna fonte della santa pace.
SAN PIETRO:- Valoroso ufficiale? comandate di eserciti? Ubriachi? plumbei deserti? divinità pagane? nel sacro suolo del Paradiso ma chi diavolo siete!?
LA MARMORA:- Come vi stavo narrando Santo Pietro, io sono il generale La Marmora comandante dei bersaglieri d’Italia, che nella terrena vita, ha lottato con onore contro chi opprimeva gli inermi e chi voleva l’Italia divisa in piccoli stati senza forza, agognando una fratricida guerra. E qui, io ancora vi chiedo perdono, per il mio comportamento che non si addice certo né a questo santo luogo né al mio rango, ma unitamente alla grazia caro uomo santo, custode di questi locali di eterea pace, chiedo mi sia concesso varcare questa santa soglia, per aver la giusta ricompensa alla mia terrena vita fra i giusti, ed ora tra i giusti poter di eterna vita bearmi.
SAN PIETRO:- Dunque, caro generale La Mormora, La Mirmira o come voi vi chiamate…
LA MARMORA:- La Marmora, generale La Marmora, per servirvi umilmente San Pietro caro.
SAN PIETRO:- Va bene, va bene, La Marmora, (a se): <
LA MARMORA:- Non ho dubbi santo portinaio. Era dunque volere dell’alto misericordioso che Venezia non potesse gridare “Viva l’Italia”? Era dunque volere del santo padre che gli oppressori vincessero sugli oppressi? Ed era ancora il suo supremo volere che le genti inermi venissero massacrati da barbari invasori? Era proprio questo il suo volere? Dunque chi difende gli oppressi è un oppressore e chi opprime è l’oppresso? Allora, chi degli inermi si prodiga difensore è da voi considerato un indegno peccatore? Dunque chi…
SAN PIETRO:- Frenate quella lingua sciolta come i rulli dei bellici tamburi e come gli squilli delle militari trombe che hanno accompagnato la vostra guerresca terrena vita, pregna di folli violenze e di veementi battaglie…
LA MARMORA:- Come vi permettete Pietro…
SAN PIETRO:- Silenzio! Allora, statemi ad ascoltare, questo non è certo il vostro reggimento e io non sono un vostro bersagliere, caro generale La Marmora comandante dei bersaglieri d’Italia, il valoroso condottiero che voi bramate d’essere, non può certo dimorare al pari di pacifiche creature, martiri forse anche per vostra stessa mano. Ma con i vostri eguali <
LA MARMORA:- Tu oh San Pietro, prima pescatore poi uomo di chiesa, un prete, come tu puoi ragionare di ciò che è giusto o non lo è in guerra? I malvagi e le malvagità, solo con la spada e non con la favella o con le sante preci si possono annientare. Dunque, i malvagi solo per il fatto d’essere creature del sommo padre, devono pertanto avere ragione sui deboli, sugli indifesi, sugli inermi? Anche il tuo misericordioso Cristo, martire in croce per l’umana salvezza, usò la spada con la stessa ferocia dei più furenti ed irosi eserciti contro i suoi nemici o quelli che tali credea, prima con l’angelo della morte nel remoto tempo dell’Egitto e poi i stermini nel nome suo, di quegli atroci massacratori di popoli chiamati crociati. E tu adesso, oh prete con sdegno mi scacci come l’ultimo dei lividi peccatori? Sai religioso, se il cristo è morto martire sulla croce, sul quel sacro monte come l’ultimo dei briganti, considerato dal popolo peggiore del più sanguinario malfattore del suo tempo “Barabba”, è anche per salvare l’anima di un <
SAN PIETRO:- Senti soldato, ma di cosa parli. Crociate, angeli della morte, crimini, criminali, ma cosa credi, di essere ancora al comando dei tuoi rudi, rozzi e stolti soldati? Che a ogni tuo fiato come cani bastonati e impauriti, non sapevano che formulare la sola parola che gli era concessa conoscere: <
LA MARMORA:- Stammi ad ascoltare, prete sciagurato. Se nella terrena vita, uomo o misteriosa creatura, avesse solo pensato di oltraggiarmi alla stessa maniera che tu oh impudente prete, adesso in codesto luogo ardisci, sarebbe stata misera preda della mia furente e lucente spada. E a nulla sarebbero valse le supplichevoli preci imploranti pietade. E tu, miserabile portinaio, cosa ti spinge ad essere tanto ardimentoso al mio cospetto? Forse, perché non vedi luccicare la dorata elsa della mia argentea spada, ti infonde in core sì tanto codardo coraggio da oltraggiarmi in tal maniera? O forse quel robusto portone che da me ti separa, ti fa divenire tanto prode e sì temerario? Ma s’io non fossi stato privato della mia lucente amica di tante battaglie, allora sì caro il mio santo, questuante saresti alla mia presenza e le tue preci, sarebbero al mio cospetto rivolte, agognando il vecchio martirio della tua miserevole terrena vita, piuttosto che l’ira della mia furente lama. Tu, codardo ecclesiastico che per salvare la tua rozza vita, non indugiasti a rinnegare per ben tre volte il tuo celeste Padre che adesso in questo luogo tanto osanni. Non fosti tu peccatore al mio pari? E perché tu stai dentro il paradiso e sei santo e a me scacci con sdegno chiamandomi anima dannata?
SAN PIETRO:- Dunque, a tanto ti spinge la tua eterna dannazione? Ad oltraggiare in tal guisa ed in codesto santo luogo, diffamando senza alcun umano pudore e con l’occhio vitreo dalla collera, come l’idrofobo cane rabbioso, colui che dall’alto è stato destinato a svolgere questa santa incombenza. Caro ufficiale, tu disonori ciò che il tuo titolo esprime, caro militare io non temo né le umane armi né le turpi mani che indegnamente le brandiscono. Quindi, valoroso, prode e temerario guerriero io non diserto davanti a cotanta umana stoltezza…
(La Marmora non trattenendo la rabbia si avventa contro San Pietro nel tentativo di sopraffarlo ma scivola rovinosamente.)
LA MARMORA:- Questo è troppo anche per la mia mortale pazienza, non imputarmi nulla, è stata la tua volontà e le tue parole a provocarti la disfatta. Oh stolto pretaccio! Scivolo! Dannazione!
(San Pietro, approfittando della scivolata del generale La Marmora, con forza lo spinge fuori e chiude il portone lasciandolo fuori.)
SAN PIETRO:- Fuori sconsiderato uomo, eterna anima dannata. Ah!ah! ecco il prode guerriero, senza la sua luccicante spada al cospetto di un povero “prete”. Non è in grado neppure di reggersi sulle proprie “possenti” gambe. Fuori da questo luogo, gallinaccio decorato con vaghe umane sembianze. Spennato da un clericale. Vai balordo guerriero, vai gl’inferi sono i luoghi ove potrai effondere la tua recondita ira, la tua fallace rabbia. Va dove l’angelo ribelle saprà spennarti a dovere. E che torni la pace.
(La Marmora fuori dal portone del paradiso in preda al delirio per la sconfitta subita.)
LA MARMORA:- Io sconfitto da un clero, io il prode generale, oltraggiato in quella maniera da un rozzo religioso, io bersagliere decorato di ben meritate vittorie. Oh mie glorie, oh miei uomini, dove siete, solo e sconfitto, che immane disfatta. Dunque la più importante delle battaglie è perduta ? Il conflitto più importante di ogni terrena vittoria è perso? Come posso accettare questa umiliante disfatta? Come posso suonare quella musica dalle avvilenti note che è la ritirata? Io il generale, io il bersagliere, io il cavaliere. L’eterna pace a me negata da un nauseabondo pescatore. Oh rabbia attanagliami le viscere, oh ira ottenebra il lume della ragione. E tu, ripugnante angelo ribelle, non avrai la mia netta anima che ingiustamente si cerca di lordare. Parola di generale. E infine tu, stolto santo e misero portinaio, temi la furia di un bersagliere. Perché se oggi suono quelle note stonate della ritirata, ti prometto oh rozzo prete, che anche senza né armi né eserciti, quanto prima torno in loco e sarà memoria di tutti i defunti il mio umano furore. Ho perso una battaglia caro santo, ma hai scatenato una guerra senza pari, che né misteriosa creatura né umana mente abbia memoria. Oh anime pie del paradiso e dannati di altre lugubri regioni, narrerete di quel generale che a mutato per torto subito, in inferno il paradiso. San Pietro, conoscerai la mia furia, sì come la conobbero i miei miseri nemici. Io mi parto, ma temi la mia collera. Non addio San Pietro, ma a presto.
Gaetano Gulisano.