lunedì 30 giugno 2008

Vacanza

Cari amici blogger, se vi capitasse di passare per questo blog e, leggendo ciò che scrivo vi verrà voglia di postare un commento fatelo pure, anzi vi invito a farlo; ma fino a settembre non aspettatevi risposte, perché da oggi e sino alla fine di Agosto, non avrò la disponibilità di internet, in quanto vado al fresco e come si vede dalla foto non in galera.
Mi mancheranno le belle poesie di Cristina bove, di Eleonora Ruffo Giordani, di Glò, di Bit, i racconti di Renzo Montagnoli, Barbara Garlaschelli, i noire di Enrico Gregori e, l’impegno sociale nei suoi post di Milva e tanti altri che giornalmente leggo.
Un saluto a tutti.
Gaetano.

Le scale o l'ascensore?


Questo racconto per partecipare al gioco narrativo ordito da Barbara Garlaschelli & Enrico Gregori su di un brano a tema
http://barbara-garlaschelli.splinder.com/
Questa volta la parola chiave suggerita da Cristina Bove è "Ascensore".
“Le scale o l’ascensore?”

Il sole era ancora alto nel cielo e l’afa di luglio era insopportabile, il vento che veniva dal mare, portava solo il caldo e la sabbia del deserto Africano che dalla Sicilia, non è poi così lontano. Giovanni, impiegato alle poste del paese, seduto sulla sedia a rotelle, che ormai da cinque anni era la sua perpetua tortura, stava rientrando a casa, grondate di sudore sia per l’afa sia per la calura, ma soprattutto, per il continuo saliscendi dai marciapiedi, a causa della mancanza di rampe per i disabili e ad ogni saliscendi, lanciava maledizioni nuove all’assessore comunale che avrebbe dovuto farle installare, il quale, abitava nel suo stesso palazzo.
Finalmente, dopo circa un’ ora di maledizioni, arrivato all’ingresso del palazzo, si avvia verso l’ascensore, che naturalmente funzionava a singhiozzo, come la maggior parte dei servizi di quel paese e, quel giorno, il singhiozzo era perpetuo, con l’odiosa scritta sulla porta metallica arrugginita: “FUORI SERVIZIO” .
Armatosi di pazienza, dopo le imprecazioni di rito e le maledizioni all’assessore che, fra l’altro era anche l’amministratore condominiale dello stabile, Giovanni, bussò alla porta di Salvatore, suo amico e condomino al piano terra, il quale ogni volta che l’ascensore non funzionava, cosa che accadeva spesso, armandosi di pazienza ed imprecando anch’esso contro l’amministratore, lo accompagnava al terzo piano dove risiedeva.
-Grazie mille Salvatore, entra ti offro qualcosa di fresco- disse Giovanni mentre infilava la chiave nella toppa.
-Ti ringrazio, ma vado al piano di sopra da quel gran cornuto dell’amministratore a cantargliene quattro- disse Salvatore.
-Ciao Salvatore e salutami sua moglie- disse con un ghigno sarcastico, ghigno subito ricambiato da Salvatore.
L’amministratore, cornuto lo era sul serio ed anche tirchio, per quel motivo la moglie si era trovata vari amanti.
L’essere cornuto, dato che ne era al corrente, in caso contrario sarebbe stato l’unico nel paese a non esserlo, gli stava bene, perché risparmiava denaro e fatica.
Dopo circa un’ ora che Giovanni era in casa, sentì suonare il campanello della porta con ripetuta insistenza.
Andando ad aprire la porta, comparve Salvatore al quanto scosso e con la fronte imperlata di sudore.
-Entra Salvatore, cosa è successo?-
- Giovanni, l’amministratore ha avuto un incidente la settimana scorsa ed ha perso l’uso delle gambe, oggi, tornerà a casa. -
- Ecco perché sono giorni che non si fa vedere- replicò Giovanni.
Mentre i due commentavano sconvolti la notizia, si sentì la sirena dell’autoambulanza che accompagnava l’amministratore a casa.
Affacciatisi sul pianerottolo, videro l’amministratore seduto sopra la sedia a rotelle portato a braccia dagli infermieri, che imprecavano contro l’amministratore (ignari di chi fosse l’amministratore di quel palazzo). Appena giunto a poca distanza dai due che lo guardavano con stupore, l’amministratore, come colto da improvvisa furia iniziò a gridare contro Giovanni:
-Sarai contento adesso, che sono storpio come te?-
Giovanni, anche se risentito non volle rispondere, ed insieme a Salvatore, rientrò in casa.
Qualche giorno dopo, tramite l’interessamento dell’amministratore che era anche assessore al comune, nel palazzo, iniziarono i lavori di ristrutturazione dell’ascensore, con l’adeguamento per le sedie a rotelle, a spese del comune, cosa al quanto insolita per uno stabile privato..
Sia Giovanni che Salvatore, anche se contenti per i lavori che, procedevano con una celerità fuori dalla norma, si domandavano perché non erano stati cambiati i cavi d’acciaio che avevano più di cinquant’anni e, piuttosto che un adeguamento, il comune non aveva provveduto ad un nuovo ascensore?
Ultimati i lavori nel giro di pochi giorni, l’ascensore funzionava regolarmente, anche se con dei rumori sospetti e sinistri, tanto che spesso Salvatore si offriva volontariamente di accompagnare Giovanni per le scale, in quanto diffidava dell’ascensore, mentre l’amministratore, fiero del suo ascensore lo utilizzava come se ne fosse il legittimo proprietario.
Un giorno, mentre Salvatore si trovava nell’appartamento di Giovanni, ed i due amici si rinfrescavano la gola con una granita ai gelsi neri, nella tromba delle scale, si udì un rumore assordante. Salvatore temendo un terremoto, prese in braccio Giovanni e si precipitò fuori nelle scale, ma appena fuori, ancora con Giovanni in braccio, vide i cavi spezzati dell’ascensore, l’ascensore con i vetri rotti, le grate in metallo arrugginito vicino al vecchio portone d’ingresso e le porte in legno frantumate in mille schegge sull’atrio.
Corse subito a mettere Giovanni sulla sedia a rotelle e, si precipitò giù per le scale con un cupo presentimento nel cuore.
Appena al piano terra, vide una chiazza di sangue che usciva da quel che restava dell’ascensore, che si allargava sempre più.
Nel frattempo, si era radunata una folla di curiosi, accorsi per il forte boato provocato dall’ascensore impattato al suolo.
Salvatore, spostando legni e lamiere, vide il corpo ormai cadavere dell’amministratore.
Dopo qualche mese, mentre Salvatore e Giovanni, si gustavano una limonata, al bar della piazza centrale, dal telegiornale Regionale, giungeva la notizia che erano stati inquisiti e rinviati a giudizio alcuni assessori comunali per peculato, corruzione ed altri reati contro la pubblica amministrazione e conseguente sequestro di beni mobili e immobili.
Senza tanta sorpresa, i due amici, appresero che fra queste brave persone, vi era anche il nome del loro estinto amministratore di condominio, nonché assessore al comune.
-Così ladro e tirchio che ha risparmiato sulla propria vita, ecco perché non aveva fatto cambiare i cavi dell’ascensore, per finire di costruirsi la villa al mare- disse Giovanni.
-Adesso, chissà se avrà preso l’ascensore per salire al paradiso o scendere all’inferno?- replicò Salvatore.
-Non saprei, ma quell’ascensore non è mai fuori servizio-
-Hai perfettamente ragione Giovanni.-
-Salvatore, sai cosa penso?
Che il vero dubbio, non è essere o non essere, ma le scale o l’ascensore?

Gaetano GULISANO

sabato 28 giugno 2008

Sogno



“Sogno?”

Sporto dal varco
della mia anima
guardo immagini
senza contorni,
forme offuscate
da una nebbia di pensieri.

Sogno di sognare
questa reale realtà,
stando sveglio
in un sonno cosciente.

Sogno di svegliarmi
dal mio torpore,
dando il contorno
alle nostre
appannate vite,
dissolvendo
quella fitta nebbia.

Mi sveglio e non riesco
a dissolvere quella
fitta nebbia,
non riesco a ridare
il contorno alle forme,
non riesco a distinguere
il reale sogno
dalla sognata realtà.

Gaetano GULISANO



venerdì 27 giugno 2008

Fluttuanti pensieri


“Fluttuanti pensieri”

Fluttuanti pensieri
vagano nelle
paludi dell’anima,
avvolti dal sinistro
stridio del vento.

Tentando invano di sfuggire
ai propri infausti ricordi,
tra quelle nebbie
di arcani sensi
disperati cercano
l’anelato oblio.

Fumanti draghi,
orribili mostri,
arcane fiere,
fra quei fumanti e
nauseabondi pantani,
prendono malvagiamente
forma.

Ed ancora ti aspetterò
dolce pensiero
che amabilmente mi sorriderai,
che con veemenza
scaccerai quelle orride chimere,
che sapientemente
trasformerai
quell’orrendo Tartaro
nei campi elisi,
dove sereni i miei pensieri,
dolcemente fluttueranno.

Gaetano GULISANO

mercoledì 25 giugno 2008

GAETANO: Trinacria

GAETANO: Trinacria

Madre



“Madre”

Vedo ancora
terribili mostri
che nel buio
prendono forma,
e tu, temibile
condottiera
sempre pronta
a sconfiggerli.

Vedo ancora
avanzare livide armate,
pronte a rapirmi
dal tuo caldo abbraccio,
pronte a straziare
la mia innocente anima,
pronte a strapparmi
il mio palpitante cuore,
e tu, come i temibili uomini
del re Leonida,
eri il mio forte
e robusto scudo.

Ora che sconfitte
quelle livide armate,
ed altre maligne flotte
cercheranno di rapire
quel che resta della
mia innocente anima,
il ricordo del tuo sorriso
sarà il mio forte
e possente scudo.


Gaetano GULISANO

lunedì 23 giugno 2008

Amore mio














“AMORE MIO”

Camminavo nell’oscurità
scambiandola per vivida luce,
annaspavo in fangose paludi
confondendole per netti lidi.

Ora innanzi a questa corvina chioma
l’oscurità mi appare tenebra,
il puzzo di quelle fangose paludi
mi offende le nari.

Ora innanzi a questi grandi occhi
cessa la mia cecità,
vedo il livore della mia passata,
vuota e inutile vita.

Ora innanzi a te amore mio
risorgo alla vera vita,
non più una solitaria e vuota esistenza
ma una vita piena di noi.

(A mia moglie Annabella)


Gaetano GULISANO

Nuova Vita


“Nuova Vita”

Ulivi carichi
dei loro verdi frutti,
pazienti aspettano
aggrappate al
vecchio albero,
la terra oppressa
da sterili erbacce,
trepidante attende
il forte aratro,
il seme sepolto
nella fertile terra,
ansioso attende
la fresca acqua.

Io come quei vecchi ulivi
trepidante ti attendo,
io come quella nuda terra
impaziente ti aspetto,
io come quell’ansioso seme,
irrequieto indugio.

Per dissetami felice
alla fonte del tuo amore,
e poter germogliare
a nuova vita.

Gaetano GULISANO

sabato 21 giugno 2008

Trebbiatura


“Trebbiatura”

Dorate spighe
fluttuano al vento,
come il ballo
di soavi fanciulle.

Pregne dei loro
farinacei frutti
nella loro trepidante
danza,
d’esser raccolte
con impazienza attendono.

Come se queste
con arcana
consapevolezza,
attendessero
quel’infausto mostro,
che con veemenza
le strapperà alla terra.

Continueranno felici
nella loro danza,
perché dalla loro fine
continuerà la vita.

Gaetano GULISANO

mercoledì 18 giugno 2008

Mio Padre

“Mio Padre”

Ho ammirato un uomo
per la sua forza,
ho amato quell’uomo
per la sua dolcezza,
l’ho stimato per la sua
intelligenza.

Ho combattuto quell’uomo
per la mia stoltezza,
per non aver compreso
quanto l’amavo,
per non aver
capito quanto mi amava.

L’ho ancora venerato,
per come sbeffeggiava
il suo morbo,
per come lo combatteva,
per il suo modo di amare la vita.

Ho amato quell’uomo
in tutte le sue versioni
e sempre continuerò ad amare
mio padre.


Gaetano GULISANO

martedì 17 giugno 2008

L'anima del poeta




“L’anima del poeta”

Brulli paesaggi nella mia mente
prendono impetuosamente forma,
si delineano come astuti predoni
dietro le dune del deserto.

Soggiogato dai miei pensieri,
mi lascio trasportare sulle
veementi onde delle mie angosce,
depredato dei miei sogni
da brutali e selvaggi pirati,
incarcerato nel mio essere
da astuti e maligni aguzzini.

Guardo dentro la tua anima
e vedo quei deserti diventare
folte e rigogliose foreste,
quelle onde impetuose diventare
calmi e rassicuranti dondoli,
quei brutali carcerieri
saggi e fidi consiglieri.

Penso all’influsso della tua vita
e non ho più paura
dell’irruenza della morte,
penso alla violenza della morte
e vedo l’anima immortale
del poeta che calma la sbeffeggia.

Gaetano GULISANO

lunedì 16 giugno 2008

Martiri dell'estate







“Martiri dell'estate”

Gli alberi, si sono già spogliati
del bruno colore dell’inverno,
vestendosi del verde manto
della primavera.

Il polline, inonda l’aria,
trasportando starnuti e nuovi sogni
lungo le vie,
imbiancandole come una calda
nevicata estiva.

Le menti, viaggeranno
per caldi ed esotici luoghi
dalle bianche spiagge,
per freschi ed imponenti
paesaggi montuosi,
per calmi ed assolati laghi,
per la nuova e tanto
attesa estate.

E ancora una volta,
sentirò il disperato guaire
di quegli animali,
vittime delle vacanze
e di quei bastardi senza scrupoli,
che indifferenti li abbandoneranno.


Gaetano GULISANO

sabato 14 giugno 2008

La dignità



L'Italia, nella sua costituzione ripudia la Guerra ecc... ecc...
Allora, perché a Molfetta, a Torino, a Porto Marghera, a Mineo…
ed in tante altre parti d'Italia, si continua a morire come nei campi di battaglia?
perché uomini e donne sono costretti a combattere una guerra che non vogliono combattere?
perché si deve morire di lavoro?
perché si deve morire per avere un lavoro?
l'Italia è ancora una Repubblica fondata sul lavoro!?
“LA DIGNITA’”

Oggi ho perso la dignità
perché ho abbandonato
un mio fratello
alle sue angosce.

Oggi ho perso la dignità
perché l’ho lasciato solo
con le sue incertezze.

Oggi ho perso la dignità
Perché gli ho detto
che la precarietà sul lavoro
sarebbe stata flessibilità.

Oggi ho perso la dignità
perché gli ho fatto credere
che avrebbe potuto vivere
da uomo libero,
libero dall’angoscia
di perdere il lavoro.

Oggi ho perso la dignità
perché un mio fratello ha temuto
di non poter più dare ai suoi cari
la dignità.

Oggi ho perso la dignità
Perché un mio fratello si è ucciso
credendo di aver perso
la dignità.

( A Luigi Roca che si è tolto la vita dopo aver perso il lavoro e che con queste parole
ha salutato per sempre sua moglie:
"Ho perso il lavoro e con quello la dignità. Scusami")

Gaetano GULISANO

venerdì 13 giugno 2008

Vero Amore











Vero Amore

Scruto assopito
l’immensità del cielo
e penso al miracolo della vita,
al germoglio che dentro
il grembo materno
pazientemente sboccia.

Osservo incantato
l’imponenza delle montagne
e penso al vigore,
alla veemenza, al fervore
di quei genitori
che cureranno
quel tenero germoglio,
difendendolo
da ogni orribile drago.

Guardo rapito
l’incessante scorrere
del fiume e penso a
quel dono divino,
che con un semplice vagito,
un singolo sguardo,
un flebile suono,
è capace di ridestare
immani e sopite emozioni.

Fisso meravigliato
l’intensità del fuoco, e vedo
quell’amore tanto grande,
quell’amore tanto puro,
quell’amore vero Amore.

Gaetano Gulisano

mercoledì 11 giugno 2008

Gelsi Bianchi




“Gelsi Bianchi”

Gelsi bianchi giacciono
sparsi su un letto di foglie,
calpestati dal tempo,
ripudiati dal proprio albero,
punti da uccelli,
che non osano più volare.

Guardo inerte quell’albero
e triste osservo quei
frutti inariditi,
spogliati del loro succoso nettare,
macchiati nel loro candido manto,
offesi da chi,
non ha saputo cogliere
la loro invitante fragranza.

Quell’albero che era mio,
quell’albero ormai spoglio
dei suoi succosi frutti,
ma sempre verde dei
miei gai ricordi.

Quell’albero che nessuna
ascia potrà mai abbattere,
che nessuna sega potrai mai tagliare,
che nessun uragano potrà mai sradicare.

Quell’albero che rigoglioso
dentro la mia anima,
continuerà a fiorire
dolci e succosi gelsi bianchi.


Gaetano GULISANO

martedì 10 giugno 2008

Terra


“Terra”

Alberi piegati
dalla veemenza di Eolo,
rocce scavate
dalla mano di Chrono,
genti forgiate
dallo scaltro Prometeo.

Profumi dei frutti
dell’impetuoso Posidone,
eterei colori dell’immenso Urano,
eternamente sorretto
da Atlante titano,
Fertile imponenza
della madre Gea.

Questo è il mondo
che salendo sul monte Olimpo,
chiedendo clemenza
al possente Zeus
vorrei poter vedere.

E infine dall’Ade,
dopo aver onorato
la regina Persefone
o sui campi Elisi
o dal buio Tartaro
continuerei a bearmi.

Gaetano GULISANO

domenica 8 giugno 2008

Musica


"MUSICA”

Leggera come
una calma carezza
soave al pari di una
dolce brezza
è la sonante nota
che l’aere accarezza.

Sia il nobile violino
che l’abbia concepita
o dal febbrile liuto
sia questa rapita
o figliata ancora
dall’umano strumento
nell’anima infonde
un dolce turbamento.

Così le note lente
fluttuano danzando
formando un gioviale
e allegro girotondo.

Quanta beltà rimanda
quell’armonia di suoni
che come amanti ondeggiano
stringendosi vicini.

Da questi eterei toni
l’alma cinger si lascia
come l’infante avvolgersi
vuol nella linda fascia.

Quale possente nume
possa aver tanto lume
Per poter dar l’essenza
a questa dolce danza.

Ne creatura arcana
ne nume ne è il creatore
di questi dolci suoni
che arrivan fino cuore.

Le intense emozioni
che destan questi suoni
altro esse non sono
che umane creazioni.

Questa soave danza
di dolci i vibrazioni
gli umani la noman
musica, ossia
l’arte dei suoni.


Gaetano GULISANO

venerdì 6 giugno 2008

Il Treno













“IL TRENO”

Giorni trascorrono frettolosi
mentre io fermo,
in questo mio stato di
inconsapevole torpore,
li scruto, come la corsa
folle di un treno.

Giorni di immane ansia,
giorni di trepida attesa,
giorni di inquieta speranza.

Speranza sempre più flebile
speranza sempre più fioca,
speranza sempre più sommessa,
di riuscire a fermare
e prendere quel folle treno.

Giorni in cui le passate gioie,
le trascorse ilarità,
le vissute spensieratezze,
nella mia mente si annebbiano.

Come un lontano sogno mai sognato,
come un passato mai passato,
come una vita mai vissuta.

Ma poi, con il mio bagaglio di ricordi,
di speranza e di fede,
mi ridesto da quel folle torpore.

Mi ritrovo passeggero
senza biglietto su quel folle treno,
allora, ringraziando quell’arcano
controllore, pago in silenzio
la mia ammenda.


Gaetano GULISANO

Vita


“VIVERE”

Vivere,
in questo folle mondo
senza mai esser vissuti.

Esistere,
nei nostri arcani sogni
senza mai essere esistiti.

Essere,
le persone che crediamo
senza mai esserlo stati.

Morire,
sperando in una nuova vita
che non sia più morta
dell’a prima vita.

Perire,
temendo l’ignoto di
un mondo oscuro,
restando attaccati
alla nostra esistenza.

Spegnersi,
come la fiammella
di una candela,
cercando l’ultimo
residuo di cera,
per brillare ancora
un istante di fioca luce.

Morire senza mai esser vissuti
è come vivere senza mai essere nati


Gaetano GULISANO

giovedì 5 giugno 2008

I Vecchi





“I VECCHI”

Sorgenti di ricordi senza meta errano
ad esili bastoni appoggiati vanno.

Incurvati dal peso di antiche memorie
fra la nostra indifferenza
inosservati passano.

La nostra storia in essi vi è riposta,
chi siamo stati è quello saremo,
ad ogni domanda
hanno sempre una risposta.

Perché, allora tanto stolti siamo
e a lor cospetto sì ingrati ci mostriamo?
Dopo che liberati da quel tiranno infame
or delle pace noi non gli diamo speme.

Povere anime che ci scrutan tristi
e quasi infastiditi siamo noi da questi
per i loro consigli e i loro buffi gesti.

Poveri vecchi ancora oltraggiati
Pur della dignità li abbiamo noi privati,
dopo una vita di duro lavoro
arriva la più grande delusione,
neghiamo a loro la giusta pensione.

Di offenderli ancor paghi noi non siamo
come degli appestati li trattiamo
dandogli ancor tanti supplizi
chiudendoli in dorati ospizi.

Nonostante questi immani insulti
che a i nostri vecchi
profferiamo oh stolti,
nell’abbracciar quei corpi sì vermigli
con amore questi ancor
ci noman “Figli”.



Gaetano GULISANO

Speranza di Vita


“SPERANZA di VITA”

Nonostante i potenti
cercheranno di avere ragione
sui deboli,
Sole domani splendi.

Nonostante i malvagi
Brameranno la ragione sui giusti,
Febo impugna le redini
dei tuoi destrieri.

Nonostante domani
in Tibet i diritti umani
saranno vilmente calpestati,
giorno sostituisciti alla notte.

Nonostante in Africa domani
la parola futuro
continuerà ad essere
un’inutile parola senza senso
vita scambiati alla morte.

Fino a quando daremo speranza alla vita
ci sarà sempre una vita di speranza.

La speranza, non potrà mai essere
oscurata dalla notte fino a quando
il divino Febo, non permetterà
all’incauto Fetonte di bruciare la terra.



Gaetano GULISANO


mercoledì 4 giugno 2008

Vetro Soffiato

Nell'isola di Murano, poco distante da Venezia, negli anni quaranta, un bambino di otto anni per voglia o per forza entra in una fornace per iniziare a lavorare (cosa comune in quegli anni), fino a diventarvi maestro vetraio.
Questo maestro vetraio, potrebbe fare tutto quello che fanno gli altri artigiani, lampadari, Vasi, Cavalli ecc... ma lui, non si accontenta di essere solo un bravo artigiano, lui vuole passare quel confine che separa l'artigiano dall'artista.
Il nostro artista, fa rivivere antiche civiltà, tramite la sua arte ricreando quegli ornamenti che furono dei Greci, dei Romani e dei Fenici.
Il nostro maestro vetraio, inconsapevolmente, ha raggiunto l'immortalità, perché la vera immortalità, non risiede nel preservare nel tempo il proprio corpo, ma nel preservare il proprio ricordo e le proprie opere nelle menti degli altri.
“VETRO SOFFIATO”

Infuocato,
al pari delle viscere dell’Ade,
vetro fuso,
come rossa pastura ardente,
dentro a dei crogioli bolle.

Lanciando in aria
chiare scintille,
irrorandolo di una
sinistra luce,
apparir lo fa
un minuscolo e
fiammeggiante lago.

Il maestro vetraio
al pari d’un arcano dio,
immergendo una lunga canna,
estrae da quell’orrido lago la
scarlatta melma.

Come se dovesse portare
in salvo la bella Euridice,
stando attento a non
peccar d’impellenza
come l’impaziente Orfeo.

Appena fuori da
quel ristretto Ade,
quasi beffeggiando
la scura Persefone
come se vi alitasse la vita,
soffiando attraverso
quella lunga canna,
plasma luccicanti
ed eteree forme.

Infine con la fronte imperlata
dal sudore,
contempla felice la sua
creazione,
sapendo che
da quell’immaginario
inferno non è uscito
un terribile demone
ma candido angelo.

(Dedicata alla memoria del maestro vetraio Paolo ROSSI.)

Gaetano GULISANO

lunedì 2 giugno 2008

RICORDI

“RICORDI”

Camminando in punta di piedi
dentro i miei ricordi,
il profumo dei passati giorni,
si spande al pari di una dolce nube,
mossa dall’inesorabile vento
di antiche memorie.

Come un’inebriante aroma,
quella dolce brezza
mi inonda l’anima
di soavi pensieri ,
di gaie emozioni,
di giocosi sensi.

Quasi volessi strappare
dalle fauci del temibile
Kronos il passato,
lo esorto a vomitare
i miei lieti trascorsi.

Questi eseguendo
il mio irreale ordine,
mi circonda del mio
lieto vissuto.

Ma destandomi
dal mio arcano sonno,
in punta di piedi esco
dal mio lieto passato,
felice di avventurarmi
nel mio incerto futuro.


Gaetano GULISANO

domenica 1 giugno 2008

Fotografie




“FOTOGRAFIE”

Con allegra tristezza miro
Giovani e gai visi,
immortalati in vecchie
fotografie ingiallite,
speranze di prospere vite
che nonostante
il passar degli anni
impazienti aspettano.

Fermi in quelle pose,
immobili con quei sorrisi,
immagini irrequiete
aspettano il realizzarsi
di gloriosi sogni.

Visi che fanno a pugni
con l’inesorabile
passar del tempo,
visi che con veemenza
combattono la rassegnazione
di chi quei sogni non ha
saputo sognare.

Visi che mi esortano
a guardare chi ero
visi che ancora
mi spingono a sognare.

Gaetano GULISANO
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