giovedì 20 giugno 2013

RICORDI IN LUNGONI



RICORDI IN LUNGONI


In TV indietro tutta stava per finire sulla sigla di cacao meravigliao, trasmissione di Renzo Arbore in voga nella seconda metà degli anni ottanta, la bottiglia di cannonau sul tavolo era quasi finita, le salsicce sulla griglia dentro il caminetto erano quasi pronte, caminetto che serviva esclusivamente per arrostire, ma Gaetano, non aveva la minima voglia di apparecchiare la tavola, poiché era da solo e considerata la tarda ora, avrebbe mangiato le salsicce a scottadito senza usare né piatti né postate, ma avvolgendole dentro il pane carasau e addentandole come un latitante alla macchia.
Era stata una giornata movimentata alla stazione Carabinieri di Santa Teresa di Gallura, un paesino alla fine della Sardegna che in tempi antichi veniva chiamata “Lungoni”, qualche bracciata ancora e iniziava la Corsica se le forti correnti bocche di Bonifacio l’avessero permesso. Quel giorno, sembrava che nell’aria avessero spruzzato qualche sostanza stupefacente, la quale avesse indotto coppie a cornificarsi, conoscenti, presunti amici che litigavano per un nonnulla e, fatto storico: c’era stato pure un borseggio nella piazza del mercato.
Gaetano, giovane carabiniere siciliano appena arruolato, poco più che ventenne, destinato in servizio in quel paese, arrivato da qualche giorno era di piantone alla caserma, (servizio che iniziava alle 13 per finire alla 13 del giorno dopo), e avrebbe dovuto ricevere denunce se non fosse stato per il comandante della Stazione un uomo poco più che quarantenne il classico “padre di famiglia” con moglie e due figli poco più che bambini sempre in ordine con l’uniforme, mai un capello fuoriposto e che mai (nonostante ne avesse avuto ben donde) trascendeva nel turpiloquio, come erano soliti alcuni suoi colleghi, e che prima di metter nero su bianco, cercava sino all’inverosimile di riappacificare le parti, onde evitare ai contendenti i lunghissimi per non dire epici strascichi legali. Purtroppo, contro la stupidità, l’orgoglio e la gelosia delle persone non c’erano parole che potessero reggere e dunque quasi tutta la giornata trascorse tra denunce e liti.
In quella giornata, riuscì a sapere di tante magagne paesane non che la cosa le importasse più di tanto, ma fu comunque sorpreso di quanto potesse nascondere un paese apparentemente tranquillo come quello. Non osava neppure immaginare quali potessero essere le liti con la bella stagione e con l’avvento del turismo. Cercava di immaginare le gelosie delle mogli per le scappatelle dei mariti annoiati, anche se era sicuro che le mogli non sarebbero restate a guardare impassibili e si fossero lasciate cornificare senza rendere pan per focaccia.
Comunque, per essere appena marzo, era stata una giornata movimentata e con quei pensieri in testa cominciò ad addentare la prima salsiccia avvolta nel pane carasau reso morbido e malleabile dal succulento grasso della salsiccia, grasso che non preoccupava minimante Gaetano anche in virtù del fatto che il suo peso complessivo vestito di tutto punto superava di poco i settantacinque chili. Afferrò la bottiglia dopo aver ingurgitato l’ultimo boccone e con l’altra mano tracannò quello era rimasto dentro la bottiglia. Provò a fare zapping con il telecomando, ma le TV locali trasmettevano il TG della notte e, nonostante avesse ancora il cibo sullo stomaco cominciò a prepararsi la brandina per la notte che spettava al piantone. Aspettò ancora qualche ora tanto sapeva che i colleghi che erano fuori non l’avrebbero disturbato, in quanto avevano tutti le chiavi anche se questa era prassi non consentita, ma il comandate fingeva di non sapere pur essendo al corrente, adottando il cosiddetto: “occhio non vede cuore non duole”.
La mezzanotte era già passata da più di un quarto d’ora, dunque decise di ignorare le salsicce che non volevano rassegnarsi al proprio destino e si riproponevano continuamente e decise di andare a letto.
La mattina seguente passò in fretta e tranquilla che gli sembrò quasi d’essersi svegliato in un’altro paese. Gaetano era nella sua camera che condivideva con Salvatore un altro carabiniere neo promosso siciliano come lui ma di un’altra città, di poco più giovane di lui sia di età che di servizio che al momento era di pattuglia con un appuntato anziano di servizio.
Guardava fuori dalla finestra della sua cameretta, erano già le quattro del pomeriggio. La temperatura era ancora frizzantina nonostante il sole era ancora alto in un cielo terzo. Volgendo poi lo sguardo all’interno della cameretta, fu catturato dalla visione delle camicie accatastate dentro il suo armadio che venivano prepotentemente fuori dall’anta semiaperta e che aspettavano di essere lavate , stava per prendere la bacinella per riporvi le camicie, quando nella mente gli balenò un’idea: perche non portare il tutto in tintoria? Il dubbio successivo: dove si trovava una tintoria? Avrebbe chiesto dove si trovasse al collega che gli aveva dato il cambio nel servizio di “piantone”e poi, far lavare delle camice in tintoria non gli sarebbe costato mica una fortuna?Archiviati i dubbi, prese le camicie e una divisa e dopo aver messo tutto alla rinfusa in un sacchetto di plastica, scese le scale ed andò in ufficio dove il carabiniere scelto che gli aveva dato il cambio stava mettendo a posto delle pratiche. esordì alle spalle del collega facendolo sobbalzare. < Su santu chi ta fattu> imprecò Tore nella classica espressione dialettale sarda alla volta di Gaetano, che non poté fare a meno di esplodere in grassa risata. Appena Gaetano riuscì a riprendersi dall’ilarità, chiese a Tore dove fosse una tintoria ed egli, ancora chinato a raccogliere i fogli che gli erano caduti per terra nel sobbalzo, gli indico dove fosse. Gaetano ringrazio ancora con un ghigno che gli si stampava sul volto ed uscì.
Appena fuori, aprì la sua ritmo 60 bianca solo in origine, perché ormai definirla bianca era al quanto azzardato, dato che ormai erano parecchie settimane che quell’auto non vedeva una goccia d’acqua. Lanciò il fagotto con gli indumenti sporchi nel sedile passeggero e si diresse dove Tore gli aveva indicato.
Appena arrivato, parcheggio proprio d’avanti alla saracinesca della tintoria. In alto capeggiava un’insegna con scritto: “Lavanderia La splendor” in principio appena lesse quella scritta pensò che l’ideatore dell’insegna non brillasse per originalità, ma poi lui stesso non trovò un nome più appropriato e si trovò a sorridere da solo di se stesso per quel suo pensiero. Appena volse lo sguardo all’interno della tintoria attraverso la vetrina, notò una pila di camice ed altri indumenti puliti adagiati alla rifusa su di un tavolo ed una ragazza mora con dei lunghi capelli ricci raccolti da una fascia azzurra intenta a stirare alcune camice che rideva divertita come se qualche evento le avesse appena provocato quell’ilarità. Dato che di tanto in tanto questa guardava verso di lui, o almeno così le parve, questi ebbe il dubbio che fosse lui l’oggetto di tale ilarità.
Titubò qualche istante prima di entrare all’interno, ma poi pensò di non avere altre alternative oltre quella della bacinella nel bagno della caserma, alternativa che non lo allettava per nulla. Quindi decise di entrare comunque. Aveva appena aperto la porta del negozio ed aveva appena finito di dire buon giorno, ma non fece a tempo ad udire la risposta proveniente dall’interno, quando uno stridio di pneumatici lo fece trasalire, si girò repentinamente all’indirizzo di quel rumore e dive il pulmino 850 dei carabinieri con all’interno Salvatore.
gridò questi dal pulmino così era solito chiamare Gaetano, proseguì Salvatore, Gaetano restò interdetto a quella richiesta fattagli con voce severa e con il volto scuro, mentre l’appuntato che stava seduto al posto passeggero infagottato nell’uniforme sempre più stretta e con i bottoni della giacca che stavano per esplodere era imperturbabile mentre compilava l’ordine di servizio, come se tutto quello che gli stesse attorno non lo riguardasse. rispose Gaetano, e mentre lo diceva, appoggiò una mano sulla maniglia della porta per entrare, mentre con l’altra teneva il fagotto con gli indumenti sporchi. Era riuscito a stento ad aprire uno spiraglio della porta e dall’interno si udiva una radio che suonava “notte prima degli esami” di Antonello Venditti , che veniva interrotto ad intervalli dal melanconico sbuffare della caldaia del ferro da stiro che la ragazza mora faceva andare sue giù lungo l’asse da stiro con movimenti monotoni e quasi annoiati, mentre intonava la canzone che mandavano alla radio. Gaetano non fece in tempo a mettere piede all’interno della tintoria che stavolta l’appuntato, chiamandolo con il cognome gli urlò: Il tono era quello severo che non accettava né repliche né contestazioni. Gaetano cercò di non incrociare lo sguardo e senza esitare uscì dal negozio e si diresse verso la sua auto per ritornare in caserma, sempre con il suo fagotto al seguitò e pensò subito che avrebbe dovuto lavarsi le camice. Prima di entrare in macchina non poté fare a meno di volgere l’ultimo sguardo all’interno della tintoria e, gli sembrò che la ragazza mora avesse capito la gravità della situazione, anche se neppure lui stesso aveva la più pallida idea del perché di tanto mistero e serietà, figuriamoci se poteva averne cognizione la ragazza, ma a Gaetano gli parve che il sorriso si fosse tramutato in uno sguardo corrucciato. Abbandono quei pensieri, entrò nella macchina e si diresse verso la caserma, rimuginando cosa potesse essere accaduto di tanto grave che richiedesse tanta solennità.
Appena parcheggiò la macchina davanti la caserma, non fece in tempo a suonare il campanello che Tore aveva già aperto la porta. Gaetano ancora prima di entrare con il volto teso chiese: <è successo qualcosa di grave?> Tore non rispose, anche perché non avrebbe comunque fatto in tempo che dall’ufficio del comandate si udì:
rispose Tore guardando fisso Gaetano e dicendogli a bassa voce di non preoccuparsi che non era successo nulla di grave. Davanti alla porta del comandante, Gaetano accennò a bussare ma prima che le nocche battessero contro lo stipite della porta, dall’ufficio si udì la voce del comandante: Una peculiarità del comandate, era proprio quella di dare del “lei” ai suoi sottoposti quando bisognava comunicare qualcosa di serio o quando gli doveva dare la classica “lavata di testa”.
Prima che il comandate potesse cominciare a parlare,Gaetano esordì:
< Non ti preoccupare , devi andare in servizio provvisorio a monte Limbara> rispose il comandante con tono rassicurante e con un sorriso come a cercare di rassicurarlo, poi continuò:
< Indubbiamente non è Las Vegas, anzi è un cucuzzolo dove andrai a fare vigilanza ai ponti radio, ma non durerà più di tre mesi. Il fatto che vedi tante facce scure è per ché vai a sostituire l’appuntato Pischedda che ha avuto un grave incidente, tutti qui in caserma lo conosciamo e gli siamo molto affezionati, dato che ha prestato servizio qui a Santa Teresa e cosa ancora più importante devi essere a monte Limbara per le sette e dato che sono quasi le cinque devi fare in fretta. Dunque vai a prepararti la valigia e poi passa in ufficio> e dopo aver pronunciato quelle ultime parole, inforcò gli occhiali e cominciò a compilare il foglio di viaggio e tutte le pratiche per quel momentaneo e repentino trasferimento. Gaetano era interdetto da quella notizia e restò immobile a fissare il maresciallo che scriveva, sino a quando l’uomo distolse lo sguardo dal foglio che stava scrivendo per dare un occhiataccia al giovane carabiniere pietrificato come se avesse appena incrociato lo sguardo della terrificante gorgone Medusa. Gaetano capì immediatamente ed esordì: ed usci dall’ufficio.
Gaetano aveva messo nel cofano della sua ritmo la valigia con le divise e con pochi effetti personali. Il fagotto con le camicie sporche era ancora sul sedile del passeggero, aveva appena ingranato la retromarcia, quando dal finestrino del guidatore sentì battere sul vetro era il maresciallo abbasso il finestrino ed esordì: Il comandante lo guardò dritto negli occhi dicendo: < ascolta: non è una punizione, anche perché in poche settimane non avresti neppure avuto il tempo di combinare casini, ma dovevo scegliere tra te e Salvatore ed è stata una scelta casuale, quando tornerai avrai modo di dimostrare se sei un casinista oppure no. Adesso vai che è tardi e sii prudente.> Dopo aver pronunciato quelle parole, entrò incaserma.
Gaetano abbandonò dolcemente la frizione e l’automobile prese la marcia. Mentre percorreva la via Nazionale per lasciarsi alle spalle il paese, pensò che il comandante nonostante stesse parlando seriamente gli aveva dato del “tu” cosa al quanto inconsueta. Considerò che forse non era il caso di deluderlo.
Era quasi arrivato all’uscita del paese, sapeva che per raggiungere la compagnia Carabinieri di Tempio Pausania ci sarebbe voluto almeno un’ora sempre se avesse rispettato i limiti di velocità ed erano quasi le sei. Il crocevia che gli avrebbe fatto lasciare il paese si avvicinava sempre più. Proseguendo dritto, avrebbe preso la strada per Tempio Pausania, mentre girando a sinistra quella per Palau. In un attimo volse lo sguardo al fagotto e pensò alla consegna fallita, come in trance con un gesto automatico inserì la freccia per svoltare a sinistra ed imboccò la strada per Palau, per poi proseguire per il porto e ritornare verso il centro del paese ed in seguito fermarsi davanti alla saracinesca della tintoria. Prima di scendere dalla macchina e consegnare le camicie sporche, ebbe la conferma che sarebbe stato molto difficile se non impossibili non deludere il Maresciallo…

Gaetano GULISANO

(Il presente racconto è frutto della fantasia dell’autore, il riferimento a nomi, persone o luoghi e da ritenersi puramente casuale.)

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