mercoledì 17 novembre 2010

sculture in legno


Era da tempo che mi frullava nella testa l’idea di scolpire il legno.

Dunque, qualche tempo fa, (senza successo) ho cercato di frequentare qualche corso di base per la scultura in legno senza riuscirvi. Ho anche cercato qualche libro che trattasse l'argomento ma trovando solo dei testi che non facevano al caso mio. Allora, ho deciso di comprare una tavola di legno (non so neppure che legno ho comprato, naturalmente non era legno "impiallacciato" ), tre sgorbie da legno: una a "V", una a U e una dritta e mi sono accanito martoriando la povera tavola.
Questo è il risultato.
Per quanto brutta o bella, lascio a voi giudicare; è davvero un emozione vedere la metamorfosi che una tavola di legno prima bel levigata, poi inizia a sfilacciarsi martoriata dalle sferzate per poi pian piano prendere forma e tornare liscia pronta per farsi accarezzare.

Dal nulla tutto appare,
il nulla è solo illusione che nulla sia
mentre tutto è nulla e nulla è tutto.”

Gaetano Gulisano

giovedì 14 ottobre 2010

Danza d'autunno

(foto da web)

L'autunno in montagna è uno spettacolo unico.
E' veramente affascinante assistere alla metamorfosi del bosco.
Quel luogo sempre uguale ma in continuo cambiamento.


Danza d’autunno

Colori d’ocra echeggiano nel bosco
ora che il verde ha ceduto il passo
stanco d’un sole impertinente.

A breve la brina accarezzerà
foglie stanche al suolo,
coccolerà aghi di pini al vento,
segnando il tempo al sottobosco.

L’attesa è finita,
comincia la danza d’autunno:
funghi riposeranno
sotto un tappeto di foglie morte,
mentre aspetteranno
il gelido calore della bianca coltre.

Gaetano Gulisano.




sabato 25 settembre 2010

Vita

(foto da web)


Vita

Ti ho visto sorridente
mentre spavalda
spiccavi il volo,
finché il vento di maestrale
percuoteva i marosi.

Ti ho visto eccitata,
le forti ali dischiuse
all’impetuosa brezza
mentre la salsedine
ti accarezzava il viso.

Ti rivedo ancora
seduto sui miei ricordi
mentre mi preparo
una volta ancora
ad abbracciarti
vita .

Gaetano GULISANO



martedì 21 settembre 2010

Sciame di parole

(foto da web)



Sciame di parole

Volano in sciame frasi leggere
prive del loro senso,
ragliando parole non scritte
lette in disarmonia.

Baccano silenzioso
frasi infrante contro pareti
dell’anima.

Spingono e pungono
frasi mai dette
rimbombando nella mente.

Pagine vuote
senza più parole
sfrigolio di fogli
raggrinziti dall’oblio.

Gaetano GULISANO





venerdì 17 settembre 2010

(Essere)umano



(Essere)umano

Bell’animale
(essere)umano
Che dell’intelletto hai dono.

Ma chi ti ha dato tal strenna?
colui che t’ha creato
o colui che tu hai creato?

Colui al quale
addossi ogni responsabilità
per poter vigliacco discolparti
d’ogni tua nefandezza.

Tanto non è il tuo essere
ma ultra terrena volontà.

(Essere)umano bestia
furbescamente stupida
dotata d’intelletto .
Gaetano Gulisano




martedì 8 giugno 2010

Rose





Finalmente anche nel mio giardino sono “esplose” le rose.
Sembra quasi impossibile che dei rami rinsecchiti in inverno possano diventare un armonia di poesia e colore.

 
Rose

Oggi sento il tuo profumo vita,
delicatezza di petali di rosa
e asperità di spine aguzze.

Oggi vedo il tuo colore vita,
foglie verdi di giocosa speranza
germinati in nuovi boccioli.

Ricordi ormai lontani
le gelate e la grandine,
oggi il sole come un febbricitante
amante cinge i tuo vellutati petali.

Gaetano Gulisano.



giovedì 3 giugno 2010

Il santo tafferuglio atto II

(foto da web)


ATTO II SCENA I

(Studio del Narratore)

NARRATORE:-

…S’incamminò sconfitto il generale pensando alla disfatta clericale,
con passo lento e con fare mesto, quel luogo or più santo non gli appare.
Guardando il nuovo mondo dei defunti pianeti, cieli, mari e monti,
vangando senza meta ebbe certezza che tutto esiste senza umana forza.

Vagando sconsolato a capo chino vedendo un ombra arrestò il cammino,
però non distingueva la figura curioso superò una radura.
Come fu sopra a un alto promontorio riconoscendolo gridò: “viva Vittorio”.

Il re dal canto suo fu esultante salutandolo con fare riverente,
gli chiese: “oh prode generale, perché non vai al santo casale?”
La Marmora ripensando alla disfatta, disse: “re, siamo trapassati
gli onori sono ormai tempi andati e noi, tapini siam, siamo dannati.”

Vittorio, al quale non sfuggiva nulla,
intese l’accaduto malaffare, disse: “se Pietro con te è stato irriverente,
vuol dir che tu sei stato impertinente!”
Giurando e spergiurando il generale, diceva: “io sono netto per nulla gli mancai rispetto,
anzi, mi presentai con un sorriso ma fuori mi buttò dal paradiso.”

Vittorio nel sentirlo favellare disse: “oh prode generale, ora son qua su non t’avvilire
se in terra la mia arte oratoria era entrata a forza nella storia,
ti dico che nella santa residenza San Pietro non farà più resistenza.
E adesso basta più non aspettare oh mio caro valoroso bersagliere,
se la marcia vogliamo cominciare la strada ora mi devi indicare.”

La Marmora gli indicò la via, marciando come Cadorna a porta Pia,
attraversarono quel luogo divino fino ad arrivare al santo mattino.
Giunti vicino al luogo agognato La Mamora si tenne un passo arretrato,
Vittorio nel vederlo ancor temere disse: “allora questo è il prode generale?
Forse perché non sono incoronato e sono re ormai trapassato,
credi che un portinaio pure se santo contro il re Vittorio possa osar tanto?”

La Marmora, sentendo re Vittorio severo favellar al suo cospetto
disse: “mio re, con tutto il mio rispetto e con l’amore che vi porto in petto,
quel santo portinaio pescatore non sente nessun bravo oratore,
ora vedrete come si comporta e senza indugiar ci metterà alla porta.”

Vittorio, senza farsi intimidire guardò ove dovea pronto bussare,
dal sommo porticato si vedea un lungo e bianco spago floreale.
Tirò il canapo con forza e decisione e San Pietro fu subito la dietro al portone,
guardò curioso dal santo spioncino per vedere chi bussava al mattino.

Riconobbe subito Vittorio Emanuele accompagnato dallo stolto generale,
ma prima che il santo potesse parlare il re incominciò a favellare:
“In questo luogo mi sono affrettato da un mio caro amico accompagnato
perché ormai son uomo trapassato.
In terra re il mio trono ho onorato e adesso umilmente al creatore
il paradiso chiedo con fervore.”

San Pietro, nel sentir quei ragionamenti disse:
“ma non fosti tu che chiudesti i suoi conventi
e ai suoi fedeli servitori li spogliasti di tutti i tesori?
Perciò l’alto con te è contrariato, come pretendi d’essere accettato?
E presentarti qui con quel sorriso, chiedendo per te e per altri il paradiso?”

Il re nel sentir quelle parole,
senza per nulla farsi scoraggiare, disse: “Pietro, stammi bene a sentire,
perché dell’altro tu devi sapere: i conventi e i luoghi santi
che aiutar dovevano le genti, erano templi per i prepotenti.

Dunque, se all’onnipotente io gli mancai rispetto,
 crederete alla parola di un reale, fu certamente contro il mio bramare.”
“Sta bene”, disse il santo portinaio:
“ma che colpa aveva il papa pio IX che lo buttasti giù dal santo trono?
E ogni rifiutar a lui fu vano e lo chiudesti dentro il vaticano?
E poi, tu per niente indugiasti, sul trono maledetto ti adagiasti?
Ed ora, come puoi tu bramare che in paradiso io ti faccia entrare?”

Il re alle parole a lui profferte e senza per niente farsi sgomentare,
subito pronto fu nel replicare:
“Mio caro amico ti voglio confessare, che il papa essendo re ha gran potere
e il potere si sa, fa travisare gli obblighi del santo creatore.
Il popolo vedendo le ricchezze che la chiesa continuava ad ammassare,
a gran voce mi chiedeva con fervore o Roma o morte nostro salvatore.

Perciò, di cosa vengo io accusato se re dal popolo io ero acclamato.
Ho dato a quella gente maltrattata la giusta libertà a lungo agognata.
Allora, non creder ch’io sia petulante, se nuovamente con tutto il rispetto,
ti chiedo con ansia l’eterno letto.”

San Pietro, nel sentirlo favellare disse:
“oh mio caro reale, tu cicerone fosti, e son convinto
che chi chiunque altro né uscirebbe vinto,
ma fino a quando io sono il portiere
in paradiso a voi non vi fo entrare;
ma vi prometto che io vo sentire quello che Pio IX avrà da dire
e come ei saprà a me parlare per potersi al suo cospetto discolpare.”

Vittorio nel sentir quella promessa, chiese se libertà gli sia concessa,
di visitare la santa regione pur restando fuori dal sommo portone.
San Pietro disse: “tutto vi è accordato, ma quando il papa sarà trapassato, tutti in questo luogo tornerete e in attesa qui mi troverete;
che udir io vo con ansia e ardore di come ei si sappia discolpare.”

I due amici presero a viaggiare salutando il santo clericale,
vagando per quel luogo misterioso,
pensando al papa e al santo riposo…

Gaetano Gulisano.

martedì 1 giugno 2010

pensieri di vento

(foto da web)

Intermezzo poetico tra il primo e secondo atto...



Pensieri di vento

Ondeggianti pensieri
in balia d’emozioni,
avulsi dallo stelo dell’anima.

Frutti ancora acerbi penzolando
lacrimano umore amaro.

Non sperano maturare
in succulenti sogni
ma pensieri di vento
che rovineranno al suolo.

Gaetano Gulisano.

venerdì 21 maggio 2010

segue il "Santo tafferuglio"

(foto da web)


Eccovi di seguito il primo atto della commedia(o presunta tale) il “Santo Tafferuglio”

(sembra quasi una minaccia!!!)

ATTO I SCENA II
(Regione Santa il Generale La Marmora si risveglia defunto)

LA MARMORA:- Che luogo è mai questo? Ufficiali, guardie a me. Dove siete tutti, scansa fatiche? Dov’è il mio reggimento? I cavalli ? I cannoni? Dove sono le mie armi? (toccandosi il fianco) La mia fedele sciabola terrore di tutti i miei nemici? Questo è un sogno? No, un incubo! Svegliati Generale, non poltrire, altri onori, altre battaglie ti aspettano. Perché non mi riesco a svegliare? Che sortilegio è mai questo, quale astuta e perfida maga ha osato tanto, e per ordine di chi? Quale nemico può essere tanto sleale da abdicare la pugna per affidarsi alla perfida magia!? E se questo non fosse un sogno? E se questo luogo così desolato, desertico, privo di vita non fosse invenzione della mia povera mente, che di tanti teatri di sventura e di umane atrocità è stata spettatrice? E se questo luogo non fosse frutto di arcani malefici e questo luogo fosse reale? Io in quale mondo mi troverei? Io sarei… No! No! No! Delirio, (togliendosi il copricapo piumato e toccandosi il capo) devo aver subito una brutta ferita alla testa, ma sotto le piume del mio copricapo non ho nessuna cicatrice, non sento alcun dolore. Questo luogo non può essere reale, e, se davvero fossi… No! No! No! I miei vecchi acciacchi, le mie vecchie cicatrici perché non mi dolgono? (passandosi la mano sul petto) E tu vecchia scheggia, amata nemica che risiedi a pochi centimetri dei miei più reconditi sentimenti, alla sinistra del mio petto; vecchio frammento di nemico suolo che in petto ti porto come il mio cuore stesso, che tanto soffrire e tanto affanno mi dai nelle notti quando la brina diventa spessa e pesante sulle verdi foglie; e quando pur senza nubi oh notte bagni le piume del fiero Bersagliere, perché cessi il tuo martirio? Non è oblio, non è invenzione, dunque cos’è questo luogo, cos’è questa desolazione, cos’è questa desertica regione? Non un uccello volare in questo cielo azzurro, non uno strepitio di insetti in queste folte foreste, né suoni sinistri né animali né umani. Nulla! Nulla! Nulla! Posso davvero io essere defunto e questo luogo può essere quello narrato da poeti, preti e cialtroni? No! No! No! Il Generale La Marmora finito? No! No! No! Deve esserci una giusta sana e logica spiegazione. Tu, Aristotele mio caro filosofo, padre della logica, illuminami, dammi tu la giusta spiegazione. Allora morto, defunto, trapassato. E il mio esercito, l’unità d’Italia cosa né sarà? Il Paradiso, il Purgatorio l’Inferno, quale di questi luoghi sarà a me assegnato, di quali di questi il Creatore crede ch’io sia degno? Ho vissuto bene, male, ho peccato, Ho onorato i santi doveri? E la domanda più importante, il dubbio che più mi attanaglia le viscere, l’anima, sono davvero trapassato? E che fare adesso, quali di questi luoghi cercare, a chi presentarsi? A San Pietro a Catone o a Lucifero? Si ho ucciso miei simili ma tutti uomini malvagi, nemici del popolo, della Patria, codardi affamatori delle genti inermi. Dunque, cosa avrei a pentirmi, perché mai il Paradiso non debba essere la mia eterna dimora, il mio eterno giaciglio? Lucifero, malefico demonio, non sarai tu che dovrai martoriare le mie carni, livido demonio non è tua la mia netta anima, né tua caro Catone che custodisci quel luogo ove né anime beate né anime dannate. Oh custode delle anime purganti, dunque io sarei un’anima da purgare e cosa avrei a nettare, oh Catone dalla lunga barba bianca? Nulla ho da scontare per le mie valorose pugne, nulla ho a purgare. San Pietro sei tu che dovrai accogliermi con i tre squilli di tromba e con gli onori che si addicono ad un valoroso generale. É delirio, è realtà, è un sogno, è maleficio? Sono vivo, sono morto? Cosa importa. So solo che da vivo o da defunto è l’ora di intraprendere la marcia, o contro il nemico ch’esso sia un malvagio essere mortale o che sia misteriosa creatura capace di magici sortilegi. E se reale defunto caro il mio Santo Portinaio, attendi l’arrivo di un valoroso e prode bersagliere. Se non il mio senso di conquistatore, il mio nume o chiunque altro in questo misterioso luogo, indicami il giusto sentiero. Attendi San Pietro, presto il Paradiso avrà un nuovo condottiero.

Atto I scena III
Lamormora e San Pietro alle porte del paradiso.

LA MARMORA:- Che luogo impervio, marciare senza il mio esercito, in questa regione sconosciuta, senza i miei valorosi ufficiali, senza i miei prodi bersaglieri, adesso che la meta è tanto importante quanto agognata per i trapassati, sia prodi che codardi. Ma quanto ancora bisogna marciare? Un altro promontorio, un’altra radura, il mio caro nume ha perso l’orientamento? E pure vicino agli astri, la stella polare, guida di viandanti e navigatori dovrebbe essere fida compagna di viaggio? Cosa sarà mai quel isola verde immersa in cotanta desertica desolazione, e cosa sarà mai quel bianco portone che emana un abbagliante candore come il niveo abito delle vergini all’altare?
( Correndo ed esultando alla volta del santo portone)
…Altro non può essere che ciò ch’io bramo, la soglia del Paradiso, vittorioso ancora generale! Vittoria bersagliere! Avanti Savoia, vittoria! Vittoria! Vittoria!
SAN PIETRO:- Cos’è questo rumore, chi fa tanto baccano, quale anima del cielo è tanto irriverente da disturbare la quiete di questo santo luogo? Un barbaro, un demonio un…
(sorpreso di vedere un militare apprestarsi in quel santo luogo) Militare!? Chi mai siete soldato?
LA MARMORA:- San Pietro, chiedo ammenda ed umilmente perdono se mi lasciai prendere dal fervore come s’io fossi ancora il comandante di valorosi eserciti, ma il tanto marciare per questa santa regione e gli eventi succedutisi in così breve tempo, hanno reso la mia scoperta euforica oltremodo, facendomi esultare come l’ultimo dei soldati, come l’ultimo degli ubriachi in preda ai folli voleri di bacco, nella maniera che non si addice ad un valoroso generale del mio rango. Ma, come il pellegrino che attraversa l’impervio e arrido deserto, fiacco ed assetato, scorge la verde oasi e con avida ingordigia si avventa alla chiara e fresca acqua per rifocillare le proprie membra ormai svigorite da cotanta fatica, al par suo, dopo aver attraversato il plumbeo deserto della terrena vita, in questo luogo euforico vengo a dissetarmi all’eterna fonte della santa pace.
SAN PIETRO:- Valoroso ufficiale? comandate di eserciti? Ubriachi? plumbei deserti? divinità pagane? nel sacro suolo del Paradiso ma chi diavolo siete!?
LA MARMORA:- Come vi stavo narrando Santo Pietro, io sono il generale La Marmora comandante dei bersaglieri d’Italia, che nella terrena vita, ha lottato con onore contro chi opprimeva gli inermi e chi voleva l’Italia divisa in piccoli stati senza forza, agognando una fratricida guerra. E qui, io ancora vi chiedo perdono, per il mio comportamento che non si addice certo né a questo santo luogo né al mio rango, ma unitamente alla grazia caro uomo santo, custode di questi locali di eterea pace, chiedo mi sia concesso varcare questa santa soglia, per aver la giusta ricompensa alla mia terrena vita fra i giusti, ed ora tra i giusti poter di eterna vita bearmi.
SAN PIETRO:- Dunque, caro generale La Mormora, La Mirmira o come voi vi chiamate…
LA MARMORA:- La Marmora, generale La Marmora, per servirvi umilmente San Pietro caro.
SAN PIETRO:- Va bene, va bene, La Marmora, (a se): <> Bene, generale dei bersaglieri d’Italia, ma da quale remota umana era, uccidere i figli del santo creatore se pur in battaglia, debba essere considerato un onore in questi santi luoghi? Caro generale dei bersaglieri d’Italia, nella tua furente terrena vita, hai mai sentito parlare dei sacri comandamenti, ove vi è scritto <> Certo che no iroso essere. Ti informo caro generale La Marmora comandante dei bersaglieri d’Italia, che in fin dei conti i sacri comandamenti sono solo dieci, quante le dita delle tue mani insanguinate, ree di tanta morte e dannazione. Forse il sangue che le ricopre non riesce a farti contare fino a dieci? O forse l’ira a corroso a tal punto il tuo senno da non farti riuscire a numerare fino a dieci, dove il fanciullo riesce con tanta naturalezza? E non richiamo alla memoria alcun scritto il quale menzioni <>. Dunque caro generale La Marmora comandante dei bersaglieri d’Italia, cosa cerchi in questo santo luogo? Indi, sei ancora così sicuro che nella terrena vita eri giusto fra i giusti e non stolto fra i stolti? Sei dunque certo di esserti meritato il posto fra i retti nell’eterna vita?
LA MARMORA:- Non ho dubbi santo portinaio. Era dunque volere dell’alto misericordioso che Venezia non potesse gridare “Viva l’Italia”? Era dunque volere del santo padre che gli oppressori vincessero sugli oppressi? Ed era ancora il suo supremo volere che le genti inermi venissero massacrati da barbari invasori? Era proprio questo il suo volere? Dunque chi difende gli oppressi è un oppressore e chi opprime è l’oppresso? Allora, chi degli inermi si prodiga difensore è da voi considerato un indegno peccatore? Dunque chi…
SAN PIETRO:- Frenate quella lingua sciolta come i rulli dei bellici tamburi e come gli squilli delle militari trombe che hanno accompagnato la vostra guerresca terrena vita, pregna di folli violenze e di veementi battaglie…
LA MARMORA:- Come vi permettete Pietro…
SAN PIETRO:- Silenzio! Allora, statemi ad ascoltare, questo non è certo il vostro reggimento e io non sono un vostro bersagliere, caro generale La Marmora comandante dei bersaglieri d’Italia, il valoroso condottiero che voi bramate d’essere, non può certo dimorare al pari di pacifiche creature, martiri forse anche per vostra stessa mano. Ma con i vostri eguali <> signori della guerra, che per nascondere la malefatte, concepivano immaginarie ed indegne divinità pagane, falso onore e fittizio coraggio. Ed ora in questo luogo bramate di entrare? L’unico luogo ove voi e vostri simili e furenti condottieri potete degnamente albergare è quello dove per primo il sommo poeta, accompagnato dal suo maestro Virgilio ebbe a viaggiare, e con supremo stupore scoprire coraggiosi condottieri come l’astuto re di Itaca Odisseo, che non esito ad usare la sua scaltrezza e con l’inganno piegare al suo volere le genti, massacrare senza umana pietà i suoi nemici o quelli che tali credea, incurante che in quella infausta parola <>, celato ve un uomo, che a lui in tutto e per tutto gemello, e che, al santo creatore tanto caro sì come l’ultima della sue creature. Incurante di ciò, il <> condottiero affonda senza remore il proprio metallo vedendo solo un <>. Stolti uomini come il <> conte Ugolino, che non seppe frenare la vile fame, agendo contro umana natura e con voraci morsi si saziava delle teste dei suoi consanguinei nipoti, lasciando che il buio del fetido stomaco oscurasse il lume della ragione, per poi perire con il rimorso e con la fame che gli divorava le viscere. E voi, <> generale La Marmora comandante dei bersaglieri d’Italia, l’eterna pace mi chiedete? L’eterna guerra anima dannata. Va stolto bersagliere, Satana non è avvezzo all’attesa. Va dannato, generale comandante dei bersaglieri d’Italia.
LA MARMORA:- Tu oh San Pietro, prima pescatore poi uomo di chiesa, un prete, come tu puoi ragionare di ciò che è giusto o non lo è in guerra? I malvagi e le malvagità, solo con la spada e non con la favella o con le sante preci si possono annientare. Dunque, i malvagi solo per il fatto d’essere creature del sommo padre, devono pertanto avere ragione sui deboli, sugli indifesi, sugli inermi? Anche il tuo misericordioso Cristo, martire in croce per l’umana salvezza, usò la spada con la stessa ferocia dei più furenti ed irosi eserciti contro i suoi nemici o quelli che tali credea, prima con l’angelo della morte nel remoto tempo dell’Egitto e poi i stermini nel nome suo, di quegli atroci massacratori di popoli chiamati crociati. E tu adesso, oh prete con sdegno mi scacci come l’ultimo dei lividi peccatori? Sai religioso, se il cristo è morto martire sulla croce, sul quel sacro monte come l’ultimo dei briganti, considerato dal popolo peggiore del più sanguinario malfattore del suo tempo “Barabba”, è anche per salvare l’anima di un <> come tu mi appelli. Perciò prima di donarmi alle grazie di Lucifero, dovresti almeno al Santo Creatore, chiedere il permesso di così grave decisione. E inoltre perché negarmi la lettura del sacro scritto, ove intendere se i miei operati sono criminosi eventi o impavide terrene imprese?
SAN PIETRO:- Senti soldato, ma di cosa parli. Crociate, angeli della morte, crimini, criminali, ma cosa credi, di essere ancora al comando dei tuoi rudi, rozzi e stolti soldati? Che a ogni tuo fiato come cani bastonati e impauriti, non sapevano che formulare la sola parola che gli era concessa conoscere: <>. Caro generale quella tua uniforme netta, quel luccicante metallo sul tuo petto, che tu chiami medaglie, simboli di ingannevoli valorose azioni, quel copricapo irto di piume di gallinacci, in questo luogo non hanno alcun senso. Caro generale comandante dei bersaglieri d’Italia, sei defunto, trapassato, morto, e tu, ancora brami con tanto vigore di leggere sacri scritti? Pretendi ch’io debba all’Alto chiedere permessi? Smani la salvezza della croce, senza mostrare sintomo alcuno di umano pentimento, anzi ti pronunci orgoglioso delle tue scellerate gesta. Generale hai oltremodo turbato la pace santa di questo altrettanto santo territorio, continui indegnamente a calpestare il suolo di questa divina regione. Adesso anche se celeste la mia pazienza volge al tramonto. Quindi caro generale, valoroso bersagliere, avviati, Caronte non ha la mia stessa pazienza, Lucifero attende le tue putride membra e la tua livida anima. Vai! Va! Va!
LA MARMORA:- Stammi ad ascoltare, prete sciagurato. Se nella terrena vita, uomo o misteriosa creatura, avesse solo pensato di oltraggiarmi alla stessa maniera che tu oh impudente prete, adesso in codesto luogo ardisci, sarebbe stata misera preda della mia furente e lucente spada. E a nulla sarebbero valse le supplichevoli preci imploranti pietade. E tu, miserabile portinaio, cosa ti spinge ad essere tanto ardimentoso al mio cospetto? Forse, perché non vedi luccicare la dorata elsa della mia argentea spada, ti infonde in core sì tanto codardo coraggio da oltraggiarmi in tal maniera? O forse quel robusto portone che da me ti separa, ti fa divenire tanto prode e sì temerario? Ma s’io non fossi stato privato della mia lucente amica di tante battaglie, allora sì caro il mio santo, questuante saresti alla mia presenza e le tue preci, sarebbero al mio cospetto rivolte, agognando il vecchio martirio della tua miserevole terrena vita, piuttosto che l’ira della mia furente lama. Tu, codardo ecclesiastico che per salvare la tua rozza vita, non indugiasti a rinnegare per ben tre volte il tuo celeste Padre che adesso in questo luogo tanto osanni. Non fosti tu peccatore al mio pari? E perché tu stai dentro il paradiso e sei santo e a me scacci con sdegno chiamandomi anima dannata?
SAN PIETRO:- Dunque, a tanto ti spinge la tua eterna dannazione? Ad oltraggiare in tal guisa ed in codesto santo luogo, diffamando senza alcun umano pudore e con l’occhio vitreo dalla collera, come l’idrofobo cane rabbioso, colui che dall’alto è stato destinato a svolgere questa santa incombenza. Caro ufficiale, tu disonori ciò che il tuo titolo esprime, caro militare io non temo né le umane armi né le turpi mani che indegnamente le brandiscono. Quindi, valoroso, prode e temerario guerriero io non diserto davanti a cotanta umana stoltezza…
(La Marmora non trattenendo la rabbia si avventa contro San Pietro nel tentativo di sopraffarlo ma scivola rovinosamente.)
LA MARMORA:- Questo è troppo anche per la mia mortale pazienza, non imputarmi nulla, è stata la tua volontà e le tue parole a provocarti la disfatta. Oh stolto pretaccio! Scivolo! Dannazione!
(San Pietro, approfittando della scivolata del generale La Marmora, con forza lo spinge fuori e chiude il portone lasciandolo fuori.)
SAN PIETRO:- Fuori sconsiderato uomo, eterna anima dannata. Ah!ah! ecco il prode guerriero, senza la sua luccicante spada al cospetto di un povero “prete”. Non è in grado neppure di reggersi sulle proprie “possenti” gambe. Fuori da questo luogo, gallinaccio decorato con vaghe umane sembianze. Spennato da un clericale. Vai balordo guerriero, vai gl’inferi sono i luoghi ove potrai effondere la tua recondita ira, la tua fallace rabbia. Va dove l’angelo ribelle saprà spennarti a dovere. E che torni la pace.
(La Marmora fuori dal portone del paradiso in preda al delirio per la sconfitta subita.)
LA MARMORA:- Io sconfitto da un clero, io il prode generale, oltraggiato in quella maniera da un rozzo religioso, io bersagliere decorato di ben meritate vittorie. Oh mie glorie, oh miei uomini, dove siete, solo e sconfitto, che immane disfatta. Dunque la più importante delle battaglie è perduta ? Il conflitto più importante di ogni terrena vittoria è perso? Come posso accettare questa umiliante disfatta? Come posso suonare quella musica dalle avvilenti note che è la ritirata? Io il generale, io il bersagliere, io il cavaliere. L’eterna pace a me negata da un nauseabondo pescatore. Oh rabbia attanagliami le viscere, oh ira ottenebra il lume della ragione. E tu, ripugnante angelo ribelle, non avrai la mia netta anima che ingiustamente si cerca di lordare. Parola di generale. E infine tu, stolto santo e misero portinaio, temi la furia di un bersagliere. Perché se oggi suono quelle note stonate della ritirata, ti prometto oh rozzo prete, che anche senza né armi né eserciti, quanto prima torno in loco e sarà memoria di tutti i defunti il mio umano furore. Ho perso una battaglia caro santo, ma hai scatenato una guerra senza pari, che né misteriosa creatura né umana mente abbia memoria. Oh anime pie del paradiso e dannati di altre lugubri regioni, narrerete di quel generale che a mutato per torto subito, in inferno il paradiso. San Pietro, conoscerai la mia furia, sì come la conobbero i miei miseri nemici. Io mi parto, ma temi la mia collera. Non addio San Pietro, ma a presto.

Gaetano Gulisano.

giovedì 13 maggio 2010

Il santo Tafferuglio


(fofo da web)

Qualche anno fa, rovistando nei cassetti che non si aprono quasi mai, trovai una vecchia poesia/racconto in dialetto siciliano, scritta da una mia zia circa agli inizi degli anni 30’, ormai trapassata da diversi anni.
Quella poesia/racconto, mi portava alla memoria gli anni della mia fanciullezza, quando, viaggiando con mio padre per il suo lavoro per le campagne della piana di Catania, nella sua vecchia fiat 500 sprovvista di autoradio era solito recitarmi quei versi in dialetto che avevo anch’io imparato. E, nulla mi sembrava più bello ed emozionante.
Quel racconto mi aveva sempre affascinato, in quanto narrava di una ipotetica lite tra San Pietro e Pio IX alle porte del paradiso per causa del Generale dei bersaglieri La Marmora, il quale con l’aiuto del sovrano d’Italia Vittorio Emanuele II, era riuscito a convincere il santo che Pio IX non era del tutto degno di albergare in paradiso, mentre lo erano a pieno titolo il duo di “anticlericali.”
La storia, si intersecava e proseguiva con colpi di scena per finire con una sua morale.
Quel giorno che l’ebbi fra la mani, ero ancora sulla mia sedia a rotelle (che per fortuna ho da tempo abbandonato), leggendola con commozione, trovai che quella storia irreale si sarebbe potuta adattare ad un palcoscenico di un teatro e quindi, decisi di far parlare i personaggi con dei monologhi e dialoghi, ma non volevo comunque togliere le rime che ne avevano contraddistinto l’essenza della poesia stessa, dunque , prima di far entrare i personaggi in scena ho voluto creare la figura di un narratore che in rime all’inizio di ogni atto, racconta quello che sarebbe accaduto e come i personaggi si sarebbero comportati di volta in volta.
Un’altro ostacolo sarebbe stato il dialetto siciliano incomprensibile per molti, dunque ho cercato di cambiare alcune sfumature senza stravolgere la storia cercando di raccontare il tutto in rima.
Questa poesia/racconto/(commedia teatrale) è stata il vero motivo perché oggi è aperto questo blog e perché continuo a scrivere cercando di trasmettere le mie emozioni.
Questa una breve introduzione della commedia.


“Il santo tafferuglio”

Narratore:

Scusatemi,
se non mi sono ancora presentato
è perché non son poeta titolato,
ma raccontar vi voglio col sorriso,
di ciò che accadde un tempo in paradiso.

Nel regno degli angeli e dei santi,
con lo stupore di tutti i defunti,
colui che ai beati apre le porte
al papa Pio IX lì prese a botte.

Se i due Papi si trovaron a litigare,
la colpa è di uno stolto generale,
bersagliere di medaglie decorato
che ormai a miglior vita era passato.

Il milite marciava impaziente,
cercando il paradiso impenitente,
marciava come fosse un centurione
sin che non avvistò il santo Portone;
appena fu vicino qualche metro,
gridò: “vittoria” ed uscì San Pietro.

San Pietro, nel sentire il militare
che continuava ancora ad esultare,
con l’uniforme a festa decorato,
disse: “silenzio un poco screanzato.
Or dimmi senza più farmi aspettare,
con quale nome tu ti fai chiamare.”

Il militare senza più indugiare,
disse: “La Marmora son io il Generale
col copricapo con le piume nere,
che dopo aver pugnato con coraggio
e aver difeso chi subiva oltraggio,
io come eroe e liberatore
il paradiso agogno con onore.

San Pietro, nel sentirlo delirare
dato che calmo egli volea restare,
gli disse: “valoroso generale,
in questo luogo tu non puoi entrare,
ma ti consiglio d’affrettar l’cammino
la dove Dante trovò il conte Ugolino.

La Marmora, all’udir quelle parole
sentendosi oltraggiato nell’onore,
rispose: “all’inferno vacci tu,
se cristo in croce martire è stato
è perché anch’io da lui venga salvato;
e se negar mi vuoi questo diritto
io leggere vorrei il sacro scritto.

San Pietro, nel sentir l’impertinente
e per rispetto di quel luogo sacro,
con calma replicava gentilmente,
dicendo: “caro bersagliere
questo non è un luogo militare
dove tutti ti dovevano ubbidire,
perciò di nuovo, ti invito ad andare
dove Caronte ti possa traghettare.”

Stupito nell’udir quelle parole
pronunciate dal sommo clericale,
con l’ira che s’addice al condottiero
infierì dicendo il generale:
“tu sei portiere di questo santo loco
e così parli perché son disarmato,
eppure, s’io non fossi trapassato
e da chiunque sarei cosi oltraggiato,
la mia sciabola o prete assaggeresti
che il tuo vecchio martirio agogneresti.

San Pietro, sentendosi insultato
serrò i pugni e disse: “in guardia gallo spennato.”
La Marmora con furia gli si avventa
ma ancora prima San Pietro lo agguanta,
con rabbia gli da uno spintone,
lo buttò fuori e chiuse il portone.

Sconfitto e solo, il prode bersagliere,
cercò una strategia da allevare,
ma non avendo forza militare,
capì che solo si doveva rassegnare;
pensò: San Pietro è dunque vittorioso
ed io perdo l’eterno riposo.

Lasciò quel luogo abitato dai santi,
sconfitto e con l’ira che gli serrava i denti,
pensando adesso mi ritiro afflitto,
ma quanto prima torno in questo luogo
e il paradiso metto a ferro e fuoco...

Gaetano Gulisano.

lunedì 26 aprile 2010

Terra

(foto da web)



Terra

Nell’aria
il profumo di nuova vita
è già intenso,
la terra scaldata dal sole
freme e geme,
spingono incessanti ed impetuosi
nuovi germogli.

Eppure è la stessa terra
che ha conosciuto l’inverno,
nascosta e intirizzita dalle gelate,
la stessa terra che ha ospitato dolore.

Apro le nari al tuo profumo,
godo del tuo fremente ardore.
Un bocciolo di rosa
lacrimando rugiada
saluta la vita.

Gaetano Gulisano.

giovedì 1 aprile 2010

versi e rime sulle cime


Versi e rime sulle cime

di Gaetano Gulisano
Introduzione di Renzo Montagnoli
Edizioni Il Foglio Letterario
http://www.ilfoglioletterario.it/
ilfoglio@infol.it
Poesia e narrativa
Pagg. 103
ISBN: 978-88-7606-228-5
Prezzo: € 10,00


(poesia tratta dal mio libro “Versi e rime sulle cime”)


L’ALPINISTA


Osservo la tua ruvida cute
coperta da irta boscaglia,
ma dentro la mia anima
sei dolce velluto.

Cammino lungo
i tuoi scoscesi sentieri,
ma nei miei sensi
sono agevoli e limpide vie.

Mi inerpico lungo i tuoi
impervi e irti fianchi,
ma vedo solo sinuose
e soavi forme.

Mi abbandono alla tua essenza,
trovando in te possente monte
l’anelata pace
nella tua somma vetta.


Gaetano Gulisano

sabato 27 marzo 2010

Forte(mente)

(foto da web)


Forte(mente)

Mi specchio
nelle acque immacolate
di pensieri non ancora concepiti,
odo il vocio di locuzioni incomprensibili,
corro inseguito da parole,
incespico in concetti pleonastici.

Aguzzine
le frasi mi raggiungono,
mi bloccano i polsi,
mi percuotono
con idee artefatte
appannandomi i sensi
e tutto diventa torbido.

Da lontano
un bagliore appare
la presa ai polsi si allenta,
cessano le percosse,
non odo più nulla
ritorni viva
Forte(mente).

Gaetano Gulisano.

sabato 20 marzo 2010

Primavera

(foto da web)


Primavera

Ora che la terra
si schiude a nuova vita,
lasciando il gelo
per un nuovo tepore
profumando
di rinnovato colore.

Ora che il cielo
chiuse le cateratte gementi,
sorride in squarci d’azzurro
mostrando bianchi
denti di nuvole.

Ora che i sensi turbinano
in spasmo di rinnovamento,
fecondi pensieri volano
fino ad intrecciarsi alle rondini.

Ora ti aspetto,
seduto accanto alla mia anima
mentre incantato ammiro
la primavera.

Gaetano Gulisano.

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