sabato 17 maggio 2008

Neve


La mia più grande tristezza, è che un giorno tutto questo splendore, possa essere ammirato solo nelle belle fotografie o nei racconti degli anziani.
Ogni anno, con il riscaldamento globale, perdiamo una grossa parte dei nostri ghiacciai.
Un giorno, sentivo dei ragazzi che in proposito dicevano "meglio il caldo al freddo".
Mi domando, come si può essere tanto stolti, come si fa a non apprezzare le bellezze della natura.
Prediligendo il caldo al freddo o viceversa?
Sia luno che l'altro, fanno parte di quel disegno divino o di quell'equilibrio della natura (per chi non crede in dio).
L'uno senza l'altro, non potrebbe esistere, perché si annullerebbero a vicenda inevitabilmente.
Come si può essere incuranti del suicidio che stiamo perpetrando, pronunciando "meglio il caldo al freddo".
Io continuo ad essere fiducioso che gli uomini si destino del torpore anti ecologista che che come un terribile morbo sta appestando le menti degli umani e si corra al più presto ai ripari.
“NEVE”

soffice neve che dal ciel diffondi
e imbianchi le valli e i sommi monti,

Rendendole come signori canuti
che sulle valli regnano muti.

Quanta beltà nel core mi mandi
osservando questi muti giganti.

Imbiancati dal tuo delicato manto
e tanta la gioia che si muta in pianto.

Non pianto di duolo ma commozione
nel mirar questa bella creazione.

Oh uomini in pace
se il senno vi luce

cessare non fate
queste nevicate.


Gaetano GULISANO

Carabiniere



"CARABINIERE”

Tu,
che in pochi istanti
prendi risolutive decisioni,
le stesse che un magistrato
prende in giorni e giorni
di consultazioni.

Tu,
che insonne vegli
le nostre notti
sotto la pioggia battente
o al gelido alito
del giorno nascente.

Tu,
che con il tuo sangue
hai lavato il lerciume,
che ha insozzato
le strade della nostra
bella Italia
e che ancora l’insozza

Tu,
ingiuriato negli stadi,
deriso nei teatri,
vilmente dilaniato a “Nassiyria”,
oltraggiato nei cortei,
da quell’infamante
dieci, cento, mille
e cosi sia.

Tu,
che usi tacendo
obbedire
e tacendo
morire.

Ti dico grazie
CARABINIERE.

(A tutti i Carabinieri D’Italia)


Gaetano GULISANO

Spumeggiante Onda


“SPUMEGGIANTE ONDA”

Spumeggiante onda,
liquida fonte di gai pensieri
e di dolci ricordi,
perpetuo atto
di arcane storie ,
andirivieni
di intensi sentimenti.

Spumeggiante onda,
trasportami nei tuoi ricordi,
annegami nei tuoi pensieri,
inabissami nei tuoi segreti,
fammi naufragare
in lontani lidi.

Spumeggiante onda,
destami lo spirto che
di Odisseo fu ,
il gusto della libertà,
il senso della scoperta.

Spumeggiante onda,
infondimi il sale
del tuo travolgente mare,
l’impetuosa forza
delle tue tempeste
la calma dei
tuoi sereni tramonti.
Spumeggiante onda,
infrangiti
con tutto il tuo
veemente vigore
sulla chiglia
della mia fantasia.

Spumeggiante onda,
tu, oh sorella
del possente Eolo,
chiamalo a spirare
sulle vele
dei miei sogni
e reclamalo
per gonfiarle
con l’ impeto
di erranti miti.

Spumeggiante onda,
fammi ancora
viaggiare
nei segreti mondi
del tuo immenso mare.

Gaetano GULISANO

Forno di Canale

Forno di Canale, era il nome originario di Canale d'Agordo, un paese montano nella vallata Agordina, in provincia di Belluno.
Paese, che diede i Natali a Papa Albino Luciani.
Io personalmente, sono molto affezionato a questo paese, perché è stato il primo posto(incantevole), che la mia attuale moglie, mi ha fatto visitare, innamorandomi perdutamente delle montagne, perché di lei lo ero già perdutamente.


FORNO DI CANALE


Un dì dalle venete acque mi mossi,
e fino ai quei monti svelto mi volsi,
per il voler di una donna sì bella
che mi convinse con dolce favella.

Alla visione di tanto splendore
colto io fui da immenso fervore,
nel contemplare quei monti sì belli
che al cielo guardano tranquilli.

Quella si dolce e bella fanciulla
col suo bel fare e con voce tranquilla,
ancor mi narrava di quei luoghi ameni
e dei natali di papa Luciani,
di quel paese sì tanto gioviale
che fu il Forno di Canale.

Oltre io udivo quei dolci racconti,
dei dì trascorsi e di allegre genti,
e più rapito io mi sapevo
e in quei bei monti
con l’alma vagavo

Guardando assopito quei muti giganti,
dalle bianche vette padroneggianti,
pensai al paradiso narrato dai santi
e del mio pensiero fu allor convinzione,
che assomigliasse a quella visione.

Io pensai lesto, ai miei cari estinti
che in pace ora erano sopra quei monti,
di triste gioia il mio core si stette
nel saperli gai fra quelle vette.


Per valli e sentieri io presi il cammino,
scrutando quei boschi sì da vicino,
sentendomi parte di quella natura
che l’uomo maltratta con somma sciagura.

Fui dunque convinto che dal quel momento,
mai più avrei lasciato quel luogo incantato,
con quella fanciulla sì amata e sì bella
che fu l’a cagione del mio dolce fato,
l’avrei difeso dall’umano
male lucente Forno di Canale….



Gaetano GULISANO

Monte la civetta

Un giorno mentre passeggiavo per le vie di Canale d'Agordo ( che è l'attuale nome di Forno di Canale), mi trovai davanti in tutta la sua imponente maestosità il monte "La Civetta.
Guardavo quasi ipnotizzato, quella massa all'apparenza inerte, inanimata, di possente roccia.
Il sole del tardo pomeriggio, gli donava una lucentezza che sembrava propria, come se fosse il sole stesso ad illuminarsi al cospetto del monte e non viceversa.
Non riuscivo a distogliere lo sguardo da quell'incanto e, le persone che mi passavano accanto, d'un tratto, sembravano mute ed inanimate, sembravano delle statue in movimento.
Mi trovai ad ascoltare con l'anima, quel monte che mi raccontava di come gli uomini, non si curano di ascoltare la voce della natura, perché troppo impegnati nelle loro folli guerre.


MONTE LA CIVETTA


Ti vedo roccia nuda e possente,
ma muto mi parli monte imponente,
t’appellan come il rapace uccello
e usi le nubi come cappello.

Della civetta hai la parvenza
e della roccia la sua potenza,
quando il sole ti viene a baciare
dai luce al Forno di Canale.

Ti dicon spoglio di spirto vitale,
e che, agli umani non puoi parlare,
ma più ti rimango a contemplare
e oltre sento il tuo narrare.

Di gente dura senza sgomento,
che per la valle senza paura
dall’alba al tramonto duro lavora.
Narrami oh monte di quella gente
che ignara d’esser di razza uguale
folle si volle sterminare.

Sento il tuo pianto maestoso monte,
li nomi figli quei prodi alpini
sia Austriaci che Italiani,
che la follia di un attentato
uomini in belve a presto cangiato.

Ancor tu gemi nel tuo narrare
e ti domandi con gran stupore,
perché quei figli dell’Alpi belle
udir non seppero le favelle,
che con muta voce quei monti urlavano
e alla pace le genti invocavano.

Oh caro monte dall’ali abbondanti,
ancor mi narri di guerre furenti,
del cimitero dei figli tuoi
che fu il fratello tuo Lagazzuoi.

Ancor io odo il tuo singhiozzare,
mentre ascolto il tuo serio narrare,
di quei figli sepolti in altra vallata
sulla sorella tua Marmolada.

Che gravi accenti io colgo col core,
mentre mi narri di sì tanto orrore,
che ancor non stanchi di guerre immani,
or sei tu tomba di quei partigiani,
che per liberarci dall’oppressore,
caddero fieri con onore.

Dunque comprendo perché mi parli
con così grave supremo accento,
perché io narri al mare e al vento
e alle genti di tutto il mondo
che non ve roccia possente e muta
se l’alma in sorda non si tramuta.


Gaetano GULISANO

Trinacria



















Come non farsi affascinare dalla mia terra (e dico mia con tutto l'orgoglio e il dolore di cui un essere umano può essere capace).
L'orgoglio per essere nato nello stesso luogo di filosi e poeti, l'orgoglio di essere nato in quel luogo, dove la montagna sposa il mare e con questo si confonde, il luogo dove il sole ha la sua dimora e, quando il divino Febo, imbriglia i suoi cavalli e stimolandoli li fa rompere in un frenetico galoppo, sparge quel manto dorato alle spighe di grano che con il complice aiuto di Eolo, le fa dolcemente ondeggiare; l'orgoglio per essere nato in quella terra di gente che arsa dal sole, da questo è rinvigorita.
Il dolore, nel vederla maltrattata da quei figli ingrati e fratricidi; il dolore, perché spesso questa splendida terra, viene associata a quanto di più malvagio l'uomo può concepire;
il dolore, nel vedere nella mia gente assopita la forza, il coraggio; affievolito l'ardente fuoco che arde come nelle viscere del vulcano.
Ma ancora rincuorato, per l'esistenza di persone che come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino hanno detto e, continueranno sempre a dire NO! NO! e sempre NO!
I nuovi imprenditori, che hanno deciso che "TRINACRIA" deve ritornare ad essere effige di onesta e coraggio, e non di illegalità e vigliaccheria.


TRINACRIA”

Sotto l’abbraccio attento del vulcano
che con il suo pennacchio fumoso
come un carabiniere vigila,

dorate e spumeggianti onde
sono i campi di grano
che sulla piana di Catania
rigogliosi fluttuano.

Tormentati dal dolce alito
sembrar li fa
danzanti fanciulle bionde
alla paesana festa.

Perle rigogliose
sono i variopinti agrumeti,
delizioso il profumo
che il gelsomino
e la zagara spande.

Oltre, il mare avvolge
con il suo perpetuo abbraccio
questa linda terra,
che tanto gioir la fa per la sua quiete
e tanto pene nelle notti di tempeste desta.

Tu terra di conquiste,
patria dei miti Greci,
tu che a filosofi
e immani eroi desti i natali,
perché da gente sì codarda
martoriar ti fai?

Che infama le tue memorie,
che oltraggia le tue genti.

Oh vulcano,
colma con la tua impetuosa lava
le vene delle rette genti

Oh mare,
infondi la tua perenne forza
nelle menti dei giusti.

Oh Trinacria torna ad essere
la patria degli onesti.



Gaetano GULISANO

Aci Trezza




“ACI TREZZA”

Sotto i faraglioni
di Aci Trezza,
nella solitaria notte
muta e mesta
luccicano le lampare
a festa.

Occhi curiosi
che scrutano nel mare
sono le barche
che calme si lasciano
cullare.

Sul mare la luna
l’argenteo manto stende,
rendendolo come
un fermo incanto,
muta ascoltando
il loro dolce canto.

Quel tratto
che solcato fu d’Ulisse
e l’ira del Ciclope
Omero disse
che accecato
dal furbo Nessuno
in suo soccorso
chiamo il padre
Nettuno.

In questo luogo
di sì dolce incanto
che il gran poeta
narrò in suo canto
in questa notte
di così calma brezza
cantano i pescatori
di Aci Trezza.

Gaetano GULISANO

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