giovedì 22 maggio 2008

Olimpiadi Cinesi







Fra non molto, si terranno queste tanto discusse Olimpiadi in Cina.
C'è, chi dice di boicottarle, ed in un primo momento anch'io ero fra quelli, ma poi, una persona che non ho mai visto, ma che credo di conoscere tramite quello che scrive, mi ha fatto cambiare idea, perché giustamente sarebbe solo servito a spegnere i riflettori su quello che sta accadendo.
Ma mi piacerebbe vedere, gli atleti di tutte le nazioni partecipanti, che in ogni disciplina, questi gareggiassero con un effige del Tibet.
“OLIMPIADI CINESI”

Oh Zeus che al giovane Pelope
ridasti vite nuove,
le mortali genti
ogni quattro anni ti celebrano.
“OLIMPICO GIOVE”.

Con quanta tenacia
giovani fanciulli
e tenere fanciulle
si allenano con coscienza
donando allo sport
la loro adolescenza.

Sudando per potere gareggiare
sotto quei cinque cerchi ,
che simboleggiano le umane genti
che popolano
i cinque continenti,
nel nome
di quell’amichevole rivalità
che unisce i popoli e che con
con corrette competizioni
regalano intense emozioni.

Indottrinati all’onore,
nel’antica arte della scherma;
al rispetto dell’avversario,
nella nobile arte della lotta;
all’eleganza,
nei graziati movimenti
dell’equitazione;
alla pace
nel nome della competizione.

Oggi, questo onore,
questo rispetto,
questa eleganza,
questi simboli di
pace e fratellanza,
offuscate saranno
da chi in Tibet
ha vilmente calpestato
e continua a calpestare
ciò che queste parole
stanno a significare.


Gaetano GULISANO

Sud



“SUD”


Gente rinvigorita dal cocente sole
nelle valli
del mio amato sud.

Gente offesa da quello stesso sole
nelle valli
del mio odiato sud.

Le rigogliose coste
che di Odisseo furono il conforto,
malamente oltraggiate
da quei figli
del mio amaro sud.

Contadini cacciati dalle loro terre
nel falso nome
del moderno sud.

Giovani uccisi nelle fabbriche
per sfuggire allo spettro
dell’antico sud.

Giudici e onesti suoi figli,
ignobilmente uccisi
dal mio feroce sud.

La paura è l’unico male
del mio infamato sud,
l’indignazione è l’unica cura
per il mio ammalato sud.

(Dedicata a tutti quegli uomini
e quelle donne che con grandi gesta
o con piccoli gesti quotidiani,
giornalmente combattono
la più spietata e sanguinaria delle mafie
L’INDIFFERENZA.)


Gaetano GULISANO

La mostra d'arte


“LA MOSTRA D’ARTE”
Il vociare della gente rimbombava come gli echi degli strumenti che si accordano in teatro prima di un concerto, in quell’enorme sala, dai soffitti altissimi, pienamente affrescati che purtroppo non riuscivo a distinguerne il tema, angeli, demoni, in quel groviglio di corpi erano quasi un sol figura, certamente doveva essere una raffigurazione sacra. L’aria era intrisa dell’odore di vecchio, di chiuso, il classico odore dei vecchi quadri chiusi in antiche cornici dorate, quelle opere d’arte prigioniere in bui musei, schiave di sofisticati allarmi, oggi erano gli attori di una antica tragedia greca, con le loro stesse maschere, interpretavano loro stessi, i loro creatori.
Uomini di mezza età distinti, con l’aria interessata e con il fare annoiato, accompagnati da elegantissime e truccatissime signore, la quale età era indecifrabile a causa dei canotti rossi che erano le loro labbra e dal decolté rigonfiato dal silicone. Ostentavano gioielli, come se fossero queste le vere opere d’arte esposte e da ammirare, senza tanto celare il totale disinteresse per i veri oggetti della mostra d’arte. - Filippo - una di queste donne con voce al quanto sostenuta, tanto da farsi sentire anche dalle altre persone che le stavano vicino, ma senza trascendere nell’ineducazione, rivolgendosi a un uomo vestito come il proprio accompagnatore, che doveva essere il marito, che aveva le sembianze di un grosso pinguino appena scampato all’attacco dell’orso polare, - Hai sentito che a questa mostra serviranno del comunissimo salmone, anziché il caviale come gli altri anni? - prima che l’uomo potesse prendere la parola, la sua dama che doveva essere la moglie, anch’essa una buffa e grassa caricatura, ornata di gioielli come un cavallo bardato a festa per trainare i carretti Siciliani, fulminea intervenne - Hai proprio ragione mia cara Adele - questo doveva essere il nome della dama, - Ma guardati intorno, oggi giorno alle mostre fanno entrare chiunque – guardandosi intorno – Il salmone è anche troppo per gente come quella. – Volgendo lo sguardo con gli occhi pesantemente truccati, che la facevano apparire come un vecchio pugile suonato che le aveva appena prese di santa ragione, - Non posso darti torto cara Gilda - questo doveva essere il nome di quest’altra goffa creatura; ed entrambi volgevano nella stessa direzione quel miscuglio di vari cosmetici che erano i loro inespressivi visi.
Volgendomi nella direzione indicata dalle due donne, notavo dei ragazzi e delle ragazze mal vestiti, che con spregio commentavano quei secoli di arte, - Ma guarda bene – ­­­diceva una ragazza che indossava una camicia da uomo in Jeans di due o tre taglie più abbondanti delle sue reali misure, un paio di pantaloni mimetici da uomo, anche questi notevolmente più ampi della sua reale taglia, e con una strana pettinatura intrecciata sul capo che emanava uno sgradevole odore, al ché pensai che dovessero essere diversi giorni che quel crine, era estraneo sia all’acqua sia a qualsiasi tipo di detergente per l’igiene personale. Rivolgendosi ai membri della sua compagnia, anche questi vestiti allo stesso modo, come dei militari pronti per una battaglia, e subito pensai che sia il primo gruppo di persone così buffamente ben vestite, che questi altri completamente diversi, nella loro diversità dovevano essere uguali. – Questa, hanno l’insensatezza di chiamarla arte, sono dei ritratti inespressivi e null’altro! - nonostante fossi sconvolto da simili affermazioni, rimasi ad ascoltare perché ero curioso di sentire cosa avrebbero replicato gli altri ragazzi, anche se non mi sarei stupito della risposta che ne seguì -E’ proprio vero – istantaneamente rispose uno dei ragazzi di quel gruppo irrorando il suo commento di volgarità irripetibili - Pensa li chiamano artisti?Come può essere frutto di un artista, una, anche se reale riproduzione di corpi, pittori senza alcuna inventiva, alcuna personalità, altro non erano che antichi fotografi.-
A quelle affermazioni, mi allontanai perché non volevo sentire altro di quanto udito. Mentre i miei occhi facevano beare la mia anima tra un “Tiziano” un “Canaletto” un “Tintoretto” e altri immani pittori di quelle fiorenti epoche, finalmente, a far beare la mia anima non furono solo i miei occhi, ma anche il mio udito, sentendo in lontananza un tale sulla cinquantina, vestito decentemente con degli abiti non vistosi né per eleganza né per trascuratezza, una giacca di velluto beige con delle toppe marroni, sopra una camicia bianca ben inamidata e chiusa da un papillon rosa e un pantalone ben stirato dello stesso tessuto della giacca, che aveva tutta l’aria di essere un professore universitario intento a spiegare a dei ragazzi totalmente diversi sia per l’abbigliamento che per l’olezzo, e in cuor mio speravo anche per intelletto, di quelli che avevo visto e purtroppo udito prima. Furtivamente mi avvicinai per meglio udire quelle spiegazioni.
Avvicinatomi a una distanza tale che mi consentiva di bene udire le parole, finalmente, fissando quei dipinti e ascoltando con attenzione le parole, mi sembrava di vivere in quei misteriosi anni, vedere quelle polverose botteghe, sentire l’acre odore di quei colori abilmente impastati da quei maestri. Pur fissando intensamente quei dipinti pian piano nella mia mente si scolorivano fino a diventare una bianca tela, e vedevo quegli immani maestri che con sapiente amorevolezza, intingevano i pennelli nelle misture sapientemente prima preparate e brandendoli con la stessa fierezza del paladino che impugna la scimitarra e colpisce il Saraceno, si avventava su quelle candide tele, con l’unica differenza che il paladino avrebbe distrutto o la sua o la vita del Saraceno, mentre il maestro avrebbe dato vita ad una immane gioia che per secoli, avrebbe fatto beare generazioni e generazioni di persone, (ad eccezione degli stolti in cui mi ero abbattuto prima), ed a ogni pennellata, come per incanto si materializzavano quelle figure irrorate da misteriosa luce che da epoche erano impresse in quelle tele.
Mentre ero assopito in questi miei beati pensieri, venni destato da quell’incanto da un lieve pianto, contemporaneamente, mi accorsi che anche colui che doveva essere il professore, interruppe la sua spiegazione, in quanto anch’egli, era stato scosso da quel pianto. Guardando con attenzione, notai un uomo tarchiato e basso con le spalle curve per gli affanni di usuranti lavori sin dalla giovane età, (cosa che sarebbe stata impensabile per i giovani olezzanti e gli uomini pinguino incontrati poco prima), parzialmente calvo, di circa settant’anni, con la pelle visibilmente bruciata dal sole, gli occhi scavati, un viso scarno rigato da lacrime che descrivevano delle ellissi, per circoscrivere le rughe che ne segnavano il volto; avvolto da una camicia che destava subito agli occhi, i numerosi lavaggi che questa aveva dovuto subire e con il colletto leggermente ingiallito, abbottonato sino all’ultimo bottone e priva di cravatta; una giacca scura visibilmente consumata e i pantaloni uguali alla giacca sia per il colore che per l’usura. Nelle mani teneva un basco nero che martoriava con le grosse dita callose, tipiche di chi con l’uso di quelle mani si guadagna da vivere.
Senza esitare, mi avvicinai per chiedergli se avesse bisogno di aiuto e con la coda dell’occhio, notai che il presunto professore del quale non mi ero più curato, istantaneamente ed in silenzio mi seguiva.
- Scusatemi? – incominciai, ma non ebbi alcuna risposta, - Scusatemi - ripetei, ma l’uomo sembrava come in uno stato di trance, come se in quella sala non ci fossero altri che quella raffigurazione del Bacino san Marco di Venezia del 700 e lui. - Scusatemi -, ripetei, questa volta scuotendolo per un braccio con tutta la delicatezza di cui ero capace, finalmente destando la sua attenzione. - Comandate signore-. L’uomo cominciò ancor prima che io potessi proferire parola - Vi è successo qualche cosa di grave? Avete bisogno di Aiuto? - immediatamente replicai e mentre interrogavo l’uomo, il professore mi stava alle spalle visibilmente incuriosito da quello strano accadimento.
L’uomo, a quella mia domanda e guardandosi intorno, come se per la prima volta si rendesse conto in quale luogo si trovasse, asciugandosi gli occhi con un gesto repentino dell’avambraccio e arrossendo visibilmente, replicò:
- perdonate signori, - riferendosi anche al professore che ormai mi era quasi al fianco - non è successo nulla di grave , sto bene, ma mentre guardavo queste scene dipinte, la naturalezza di questi movimenti raffigurati… Sapete, io sono un contadino e coltivo un campo di radicchio nelle campagne di Treviso - stavolta mentre arrossiva, abbassava lo sguardo con un senso di vergogna, e subito dopo continuò dicendo, - Io, non ho mai studiato, sia per colpa mia sia perché era più importante che dessi una mano a mio padre nei campi. Ma amo guardare spesso quei documentari, sapete quelli che danno a volte alla tv?- . -Si- replicammo in coro io e il professore. - Non avevo mai visto dal vero quei dipinti che mostravano in tv – continuò l’uomo – È adesso, nel guardarli, provo una sensazione tanto starna che non so spiegare. Sapete, quando ascoltavo le spiegazioni che davano in tv di quei dipinti simili a questi, non riuscivo a capirne il significato, ma ora, mi sento come rapito dalla loro bellezza e mi sembra di sentire le grida dei commercianti in piazza san Marco, l’odore del sudore dei rematori su quelle barche – diceva mostrando un quadro del canaletto raffigurante il bacino san Marco, e continuando a parlare con la voce spezzata dalla commozione e il volto rigato dalle lacrime – La perfezione di quei corpi muscolosi e la luce che emana quel cristo, quello sfondo nero pieno di luminosità,- indicando un altro quadro di Tiziano, - mi ricorda la semplicità dei miei campi, la bellezza delle montagne che leniscono la fatica e il dolore delle vesciche provocate da lunghe ore di zappa. E non ho potuto e non posso fare a meno di commuovermi.- Incantato da quelle parole che nella mia anima risuonavano come meravigliosi versi di grandi poeti, non riuscii a replicare, ma pronto il professore che ormai mi stava qualche passo avanti, seguito dai suoi allievi, che pendevano dalla sue labbra, come gli apostoli del Cristo raffigurati nell’ultima cena di Leonardo da Vinci, con la voce spezzata dalla commozione, volgendosi soprattutto ai suoi allievi, replicò: - Mio caro amico - così chiamò quell’uomo che continua a sgorgare lacrime dagli occhi. - Oggi, sia io che miei allievi, vi siamo grati perché ci avete dato una delle più intense e importanti lezioni che uno studioso dell’arte possa ricevere. Come distinguere se un’opera d’arte è tale oppure solo qualcos’altro.- Sia io che l’uomo che nel frattempo aveva smesso di piangere, ascoltavamo esterrefatti quell’accorato discorso del professore. - E oggi, grazie a voi caro amico - continuava rivolgendosi al contadino – Affermo con certezza “che se una qualsiasi opera d’arte è apprezzata con commosso trasporto, da chi all’arte non è avvezzo, quella e solo quella è una vera opera d’arte!”.- Dopo aver pronunciato con estrema solennità quelle parole, si volse verso il contadino, gli strinse la mano, lo ringraziò e con la schiera dei suoi “discepoli” si allontanò, mentre il contadino ancora incredulo per quelle parole che avrebbe continuato fiero a raccontare nei campi mentre coltivava il radicchio e la sera all’osteria, ancora più emozionato di quanto lo avevo incontrato continuava a fissare quei quadri, lasciando che le lacrime continuassero a rigargli il volto incurante di quanto lo circondasse.
Io stavo per salutarlo, ma nel vederlo tanto assopito, nell’osservare quei dipinti, non volli distoglierlo da quell’incanto.
Mi allontanai felice di aver visitato una affascinante mostra d’arte e di aver incontrato il miglior critico d’arte che avessi mai potuto incontrare.

Gaetano GULISANO

Ombre





“OMBRE”

Ombre prendono forma
nella mia vessata mente,
mentre calmo vago
fra la muta gente.

Il tempestoso mare
or guardo ansimare,
finché il gelido vento
lo fa forte sbuffare,
portando fra le onde
della mia mente stanca,
una nave arcana fra
la schiuma bianca

Vedo apprestarsi lesti
nelle loro antiche vesti
quei sommi condottieri
che combatteron fieri.

Serio uno di questi
senza tanto indugiare,
come un amato padre
incominciò a parlare.

Quanto sangue versato
su questo suolo amato,
lottando guerre immani
per rendervi Italiani.

Quell’ eroico senso
or non oltraggiate,
con le piccole lotte
che stolti combattete.

Destandomi lesto
da quell’arcano incanto,
mi trovai il viso in un
fulmineo pianto.

Turbato dal rimprovero
che quell’eroe mi mosse,
pensai quale il senso
di quel sogno fosse.

Non ebbi dubbio alcuno
che quello strano sogno,
altro non era,
che un mio grande bisogno,
di credere ancora
a dei valori saldi per onorare
i Mille e il prode Garibaldi.


Gaetano GULISANO

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